HOLD ON I’M COMING
In Italia ai tempi questo brano dei magnifici Sam and Dave fu riinciso dai Ragazzi della Via Gluck di Adriano Celentano con il titolo “Il contadino”. Lo ripropose, anni dopo, pure lui, Adriano strizzando l’ occhio alla disco music. Decisamente più apprezzabile, però, la versione dei Ragazzi della Via Gluck.
Ad aprire la puntata è “Sunny Afternoon” dei Kinks, riportata agli antichi splendori da Jimmy Buffett.
JIMMY BUFFETT, SUNNY AFTERNOON
Gli altri pezzi:
PAUL STANLEY’S SOUL STATION, BABY, I NEED YOUR LOVING
JOHN MELLENCAMP, CHASING RAINBOWS
NANCY SINATRA, THE BOTTLE ROCKETS
JEMINA PRICE, MY SWEET LORD
Doppietta nazionale con le Henderlin Chicks, affascinanti appenzellesi che, di norma, cantano in dialetto, e i basilesi Lovebugs.
ENDERLIN CHICKS, HAPPINESS
LOVEBUGS, EVERYBODY KNOWS I LOVE YOU
WESTSIDE ROCKFARM, PROUD MARY
MARSHALL & ALEXANDER, RAFFAELE RIEFOLI E UMBERTO TOZZI, GENTE DI MARE
Bubblegum music, musica da masticare, con gli
YUM YUMS, DO YA, DO YA, DO YA
I Foreigner con un pezzo che, di questi tempi, acquista grande attualità, “Blinded By The Science”, “accecato dalla scienza”.
FOREIGNER, BLINDED BY THE SCIENCE
Il testo:
Accecato dalla scienza, sono in fuga
Accecato dalla scienza, dove appartengo?
Cosa c’è nel futuro, è appena iniziato?
Accecato dalla scienza, sono in fuga
Mi preoccupo per il mondo in cui viviamo
Sono preoccupato da tutta la confusione
Mi chiedo delle bugie che ho letto
Chissà dove sta portando questa follia
È una strada che non va da nessuna parte?
O qualcuno ci sta portando da qualche parte?
Non posso credere che siamo qui senza motivo
Ci deve essere qualcosa in cui possiamo credere
Accecato dalla scienza, sono in fuga
Non sono un elettrodomestico, quindi non accendermi
Cosa c’è nel futuro, è appena iniziato?
Accecato dalla scienza, sono in fuga
Cosa c’è nel futuro, è appena iniziato?
GOTTHARD, HE AIN’T HEAVY, HE’S MY BROTHER
PEARLSBREAKERS, MY SHARONA
SAM AND DAVE, HOLD ON, I’M COMING
Fra i pezzi della puntata, come detto, la splendida “My Sweet Lord” di George Harrison, le cui vicende giudiziarie dettagliatamente ricorda Michele Bovi.
STORIA DI UN (PROBABILE)
“INCONSAPEVOLE PLAGIO”
George Harrison ci ha lasciati venti anni fa e da dieci la sua “My Sweet Lord”, a seguito del sondaggio popolare realizzato nel 2011 dalla rivista Rolling Stone, è inserita tra i 500 brani più apprezzati di tutti i tempi.
È dunque intitolata a Dio – identificato nell’i ndù Krishna – quella canzone delizia e soprattutto croce per l’ ex chitarrista dei Beatles: da una parte lo straordinario successo, dall’ altra una vertenza giudiziaria durata 22 anni, costata una condanna e un risarcimento totale di oltre un milione e mezzo di dollari, in aggiunta a costi colossali tra spese di giustizia, legali e di trasferta.
La vicenda nasconde ancora oggi retroscena e dettagli che inducono a sospettare l’ esistenza di un poliedrico inganno ai danni di George Harrison, colpevole più di disarmante dabbenaggine che di inconscia frode.
La sentenza del 1976 della Corte distrettuale di New York, poi confermata in Appello, stabilì infatti che l’ artista con “My Sweet Lord” aveva violato la legge sul diritto d’ autore con il “plagio inconsapevole” del brano “He’s So Fine”, inciso nel 1962 dalle Chiffons, quattro ragazze afroamericane residenti nel Bronx e prodotte dal cantautore Ronald “Ronnie” Mack.
Le Chiffons furono il primo gruppo pop vocale femminile a scalare la hit parade statunitense proprio con “He’s So Fine”, composta dallo stesso Ronnie Mack – che morì poco dopo – e un paio di altri brani scritti da Gerry Goffin con Carole King.
Il giudice pianista
“My Sweet Lord” fu pubblicata in America nel novembre del 1970 e la denuncia per plagio arrivò tre mesi dopo dai legali della Bright Tunes Music, casa editrice e produttrice di “He’s So Fine”.
Cinque anni di udienze e di perizie convinsero il giudice distrettuale Richard Owen, a sua volta pianista e compositore di musica classica, della colpevolezza di Harrison in base al criterio che la violazione è stabilita quando il detentore del copyright dimostra che la seconda opera è sostanzialmente simile all’ opera protetta e parallelamente viene accertato che il secondo compositore ha avuto modo di ascoltare la prima opera. Harrison aveva infatti ammesso, interrogato dal magistrato, di aver ascoltato la traccia delle Chiffons.
Perché dunque “plagio inconsapevole”? Il concetto esposto nella sentenza è che quel motivo orecchiato molti anni prima fosse rimasto confuso nel bagaglio mnemonico dell’ artista così da utilizzarlo in maniera del tutto inconscia al momento della composizione di “My Sweet Lord”. Una tesi che si basa sulla persuasione che nel corso della creazione del brano come in quella della realizzazione del disco né Harrison né alcuno dei suoi collaboratori si fossero mai accorti della pericolosa somiglianza. Assolutamente inverosimile.
I dubbi di John Lennon
“George non poteva non essersene accorto, dai… lui è più perspicace di così – commentò nel 1980 John Lennon nel corso di un’ intervista alla rivista Playboy – Avrebbe potuto modificare un paio di battute in quella canzone e nessuno avrebbe mai potuto incolparlo. Invece lasciò correre e ne pagò il prezzo. Forse pensava candidamente che Dio gliela avrebbe fatta passare liscia”.
Incredibile ritenere che neanche Billy Preston avesse avvertito la somiglianza. Il polistrumentista afroamericano Preston, che suona il piano in “My Sweet Lord” e che per molte persone vicine a Harrison è stato se non il ghost composer del brano almeno il coautore – persino il giudice Richard Owen nella sentenza espresse questo convincimento – vantava una profonda conoscenza dei repertori doo-wop, soul, funky dei quali le Chiffons erano state tra le più accreditate rappresentanti femminili.
La volpe Phil Spector e il gatto Eric Clapton
Ancor più incredibile è ritenere che nemmeno il produttore del disco, quell’ impareggiabile volpone di Phil Spector che negli anni Sessanta aveva inventato il sound di gruppi femminili di rhythm and blues come Crystals e Ronettes, dirette concorrenti delle Chiffons, non avesse rilevato le assonanze con “He’s So Fine”.
Per la registrazione di “My Sweet Lord” Harrison fu coadiuvato da altri abili ed esperti musicisti, come il chitarrista Eric Clapton – risale proprio a quel periodo la rivelazione dello stesso Clapton di essere l’a mante di Pattie Boyd, moglie di George Harrison – e i Badfinger, un gruppo inglese definito dalla stampa erede dei Beatles. Pertanto tutti addetti ai lavori che certamente non soffrivano di soggezione nei confronti di Harrison, il quale al giudice Owen disse che aveva completamente dimenticato “He’s So Fine” e che per My Sweet Lord era convinto casomai di essersi ispirato al gospel “Oh Happy Day” di Edwin Hawkins.
Insomma nessuno dei collaboratori sentì l’e sigenza o il dovere di segnalargli il rischio plagio. Non certo il suo impresario Allen Klein che una volta interrotto il rapporto con Harrison tentò di acquisire per proprio conto i diritti di “He’s So Fine” mirando così a incassare il risarcimento per il quale l’ artista era stato condannato. Klein, manager statunitense sia dei Rolling Stones che dei Beatles nella loro ultima fase artistica, e in seguito dei Verve, si distinse oltreché per l’ abilità imprenditoriale nel settore musicale anche per il numero di battaglie legali intraprese contro tutti i suoi ex clienti.
Quel leone rubato agli Zulù
Altro particolare caprino di questa vicenda riguarda la Bright Tunes, casa di produzione di “He’s So Fine” che denunciò Harrison per plagio. Era gestita da Phil e Mitch Margo, Jay Siegel e Hank Medress, componenti della band newyorkese The Tokens, diventata famosa nel mondo e miliardaria grazie al brano “The Lion Sleeps Tonight”, ovvero il più celebre plagio nella storia della musica, rimasto impunito per quasi 70 anni. Il brano nasceva da un motivo creato nel 1939 dal musicista sudafricano Solomon Linda, intitolato “Mbube”, che nel dialetto degli Zulù, la tribù di appartenenza di Linda, significa proprio “leone.”
Nel Sudafrica dell’ apartheid che privava di prerogative e spettanze i neri, Solomon Linda morì poverissimo nel 1962 e i suoi eredi riuscirono ad accedere a una minuscola parte dei diritti d’ autore soltanto dopo l’ ennesima causa nel 2006.
Da allora nei crediti di quella canzone, una delle più popolari in assoluto, compaiono i nomi di quattro compositori-autori: Hugo Peretti, Luigi Creatore, George Weiss ossia tre musicisti che elaborarono il brano e per ultimo il nome dell’ autentico padre: Solomon Linda. Nonostante le oltre mille diverse cover incise nel tempo “The Lion Sleeps Tonight” dei Tokens con l’ ammaliante frase introduttiva “A-Weema-Weh” rimane ancora oggi la più diffusa nonché utilizzata negli spot pubblicitari.
Occhio al secondo Comandamento
Infine va rammentato che dopo “He’s So Fine” il secondo successo del gruppo The Chiffons fu “One Fine Day”, scritta da Gerry Goffin e Carole King a evidente somiglianza del primo, pure se la coppia di autori confessò di essersi ispirata per il titolo a “Un bel dì vedremo”, l’ aria della “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini. Ciò non comportò cause o richieste di risarcimenti visto che a produrre il disco era sempre la Bright Tunes dei Tokens.
Insomma tra tante storie di plagi, omissioni, doppigiochi, scorrettezze e persino corna, l’ unico a essere punito fu George Harrison con la sua “My Sweet Lord”. Una biblica ammonizione a osservare il secondo dei 10 Comandamenti: Non pronuncerai invano il nome del Signore. Soprattutto nelle canzoni pop.
Da HuffPost per gentile concessione di Michele Bovi
LADRI DI CANZONI
Ricordo che Bovi ha scritto diversi libri che, in un modo o nell’ altro, trattano l’ argomento plagio.
Fra i più interessanti, “Ladri di canzoni. 200 anni di liti musical-giudiziarie dalla A alla Z” (Hoepli).
Il libro racconta 200 anni di inedite controversie tra musicisti sfociate in tribunale: da Giuseppe Verdi a Lucio Dalla, da Giacomo Puccini a Claudio Baglioni, da Domenico Modugno a Laura Pausini, da Adriano Celentano a Eros Ramazzotti, da Jovanotti ai Modà, Il plagio sembra proprio non risparmiare nessuno. Non c’è celebre artista nella storia della musica italiana che non abbia avuto noie con la giustizia a causa del proprio lavoro e di presunte somiglianze con realizzazioni preesistenti. Un esempio è l’indagine esclusiva presente nel testo in cui si rivela come il processo tra Michael Jackson e Al Bano sia stato soltanto la punta di un iceberg di impressionanti dimensioni.