IL GIALLO DI LALLO
Giancarlo “Lallo” Sbriziolo, cantante dei Dik Dik, ha deciso di darsi alla letteratura. Visto l’ interesse suscitato con il recentissimo “Una strana storia: un giallo in rosa” (Italian Edition/Amazon), torna in libreria con il seguito del romanzo, “Due facce della stessa medaglia”.
Secondo episodio delle avventure di Sandri Mattia, alias Ginko, e del socio ed amico Carlo Sorrentino, detto il Falco, investigatori privati, chiamati a Roma dal commissario Accorsi per indagare sul misterioso omicidio di un’ esperta di numismatica. Tutto ruota intorno a due monete d’ oro di grande valore: vengono seguite varie piste nel mondo della mafia russa e in quello della piccola criminalità locale.
“La voglia di scrivere – racconta – m’ è venuta durante il periodo del covid. Prima, per la verità, sfogliavo solo fumetti, mi accontentavo delle figure, neppure leggevo il testo. Adesso sono un fiume in piena. A Natale uscirà, sempre per Amazon, il seguito del mio racconto. I protagonisti sono gli stessi. Ricordo la trama: Sandri Mattia, alias Ginko, e il socio ed amico Carlo Sorrentino, detto Falco, investigatori privati di Milano, vengono ingaggiati da una nobildonna romana per scoprire, nel più breve tempo possibile, chi lavora nell’ ombra con lettere anonime e minacce per impadronirsi dei suoi averi. Il duo si trasferisce a Roma in casa di Matilde, la donna perseguitata e …”. Adesso sto scrivendo il terzo libro, con già in mente il quarto ed il quinto!”.
Niente più musica, quindi?
“No, la musica rimane prioritaria, però, come detto, voglio sfornare altri libri, per puro divertimento. Libri senza pretese, divertenti, da leggere al mare”.
Per ora poco pubblicizzato “Una strana storia: Un giallo in rosa” (Amazon) . Perchè?
“In fatto di strategie pubblicitarie sono ignorante. Dovrei avere un ufficio stampa, ma non posso permettermelo. Lo pubblicizzerò, come già fatto, con degli showcases. Mi piacerebbe fare tappa pure da voi, in Svizzera. Chiama e io corro!”.
Sanremo?
“Il pezzo da presentare, splendido, ce l’ avremmo, lo canto io con Danilo Amerio, ma siamo stati snobbati dai direttori del festival. Lo incideremo pertanto unitamente a quelli del nuovo album, fra i quali potrebbe esserci la cover di ‘Needles And Pins’ dei Searchers. Abbiamo altri interessanti progetti, per il momento non dico altro”.
RICORDANDO GARY
Aneddoto.
Nel 2015, realizzando un servizio per “Il Quotidiano” della RSI a Bellinzona, feci rincontrare, a distanza di molti anni, Gary Brooker e il tastierista dei Dik Dik Mario Totaro. Al mitico leader dei Procol Harum Totaro consegnò copia della versione italiana di “A Whiter Shade Of Pale”, “Senza luce”, testo di Mogol.
A Mario ho chiesto di raccontare come fu possibile ai Dik Dik accaparrarsi un pezzo tanto ambito.
Con Mario nella residenza locarnese
“SENZA LUCE”
“All’ inizio dell’ estate 1967 – ricorda Mario, ora pilota – negli ambienti musicali si favoleggiava di un pezzo inglese che sarebbe stato un travolgente successo. Ne avevo sentito parlare, senza però la possibilità di ascoltarlo.
A quei tempi le case editrici e discografiche acquisivano a caro prezzo l’ esclusiva, il diritto di impedire che il disco originale venisse distribuito in Italia non prima di almeno sei mesi o più dalla pubblicazione.
Scopo della costosa procedura consentire la realizzazione di una versione italiana ad opera di artisti facenti parte delle proprie scuderie, con la speranza di raggiungere vendite possibilmente simili o superiori a quelle del disco originale.
Procol Harum
I primi giorni di agosto del 1967, dopo una esibizione in un famoso locale di Ostia con i Dik Dik, diedi un passaggio per Milano ad una ragazza che lavorava alle edizioni musicali Ricordi.
Durante il viaggio mi raccontò della ‘guerra’ tra i vari produttori per accaparrarsi il successone e realizzarne una versione italiana da affidare a uno dei solisti o gruppi Ricordi, almeno una decina, tutti desiderosi di poterlo riincidere.
Fortunatamente, su consiglio del tastierista della band inglese Dave Anthony’s Moods’, Bob Michaels (in quei giorni impegnata con serate al Piper di Milano), mi decisi ad acquistare un ‘magico’ organo Hammond, simile a quello suonato da Bob. Era in esposizione presso la ditta Castellini, in via Larga a Milano. Andammo insieme e provarlo. Il prezzo era molto alto, potei acquistare lo strumento unicamente grazie all’ aiuto di mio padre, ormai rassegnatosi al fatto che suonassi in un complesso di discreto successo. Unica condizione: che continuassi gli studi.
Non mi fu però possibile acquistare anche il mitico amplificatore Leslie, che mi avrebbe consentito di ottenere i suoni desiderati, quelli del disco dei Procol Harum. Va detto che i Leslie arrivavano dagli Stati Uniti con il contagocce e subito venivano venduti. Riuscii ad ottenerne finalmente uno molto tempo dopo, ma questa é tutta un’ altra storia (anche dal profilo tecnico).
Tornando a quella sera d’ estate, percorrendo la costa tirrenica, la ragazza mi disse che il disco era arrivato in Italia, ma di straforo (i Disc Jockey’s di allora si procuravano i dischi bloccati all’ importazione per vie traverse, quasi di contrabbando, recandosi in Svizzera o facendoseli spedire).
Attraversando la cittadina ligure di Chiavari, vedemmo una bellissima discoteca, decidemmo di entrare per ballare.
Dopo alcuni brani, fu la volta del pezzo dei Procol Harum, con tutta la sua magia creata specialmente dal loro organo Hammond. Fu un momento magico. Che canzone, che sound, una cosa indimenticabile. Roba da pelle d’ oca!
Pezzo che per il resto del viaggio verso Milano mi rimbombò nelle orecchie. Capii allora perchè tutti volevano farne una cover.
Però ci voleva un organo Hammond, come quello dei Procol, Harum, dalle stesse sonorità.
Alcuni giorni dopo seppi che, i nostri produttori di allora, Mogol e Battisti, avevano ottenuto che fossimo proprio noi Dik Dik a realizzare il disco che, con il bellissimo testo di Mogol, divenne ‘Senza luce’. Disco che presentammo al ‘Cantagiro’ ricevendo il disco d’oro.
Per la realizzazione di ‘Senza luce’ andammo in sala di registrazione poco prima di Ferragosto.
Tutto fu fatto in gran segreto, nessuno doveva scoprire che lo stavamo incidendo. Da parte mia, studiai a fondo ogni nota e sfumatura armonica della parte organistica. L’ esecuzione fu estremamente impegnativa dal momento che la parte d’ organo doveva essere eseguita senza interruzioni sull’ unica pista disponibile del nastro magnetico. Credo di aver cominciato a suonare dopo cena. Continuavo a fare e rifare perché, di tanto in tanto, incappavo in qualche comprensibile errore o imprecisione.
Lucio Battisti fungeva da direttore artistico in sala di regia, spesso fermandomi e dicendomi di ricominciare. Se ben ricordo, prima dell’ una di notte, riuscii finalmente ad eseguire l’ intera parte senza interruzioni.
Dopo una pausa concessami dalla regia, che a me sembrò interminabile, Lucio mi gridò nelle cuffie: ‘Bravo Mastellazio (a quei tempi il mio soprannome, essendo piuttosto sovrappeso), questa era buona’.
Il giorno dopo tornammo in studio per completare la registrazione con l’ aggiunta del canto.
Quanto alla mancanza dell’ indispensabile Leslie, devo ringraziare il giovane ingegnere del suono Walter Patergnani, che con miracolosi accorgimenti tecnici riuscii a simulare le sonorità del disco dei Procol.
Durante la lavorazione – l’ Italia in quei giorni era in ferie -, vista la segretezza dell’ operazione, ogni volta che Mogol, Battisti o chiunque altro doveva rispondere al telefono, strumenti e voci si zittivano, questo per evitare che chi stava all’ altra parte del filo ‘fiutasse’ qualcosa.
Mesi dopo seppi che i Procol Harum sarebbero venuti al Piper di Milano. Essendo un loro super ammiratore, non persi l’ occasione di andare a sentirli dal vivo.
Al Piper mi posizionai proprio davanti a Gary Brooker, guardando e ascoltando con molta attenzione: la band aveva veramente una gran classe!
Ovviamente non fu facile seguirli bene, in quanto nel locale c’ era una ressa incredibile. I Procol Harum, poi, suonavano sulla pista da ballo. Non ho mai capito perché non fossero su uno dei due palchi del locale. Serata comunque emozionante, durante la quale mi guardai bene dal presentarmi, tanto meno scambiare qualche parola con qualcuno del complesso.
Finito il concerto, sgattaiolai tra la folla con le orecchie in cui rimbonbava il pezzo che avevo appena ascoltato. Mi sentivo un po’ colpevole, quasi un ladro, per aver copiato nei dettagli l’ opera dei Procol.
Pochi sanno che, dopo il successo di ‘Senza luce’, avremmo voluto rimanere nello stesso ambito musicale incidendo la versione italiana di un altro grande successo dei Procol Harum, ‘Homburg’, ma le trame editoriali fecero si che il pezzo venisse affidato ai Camaleonti.
Il 24 Luglio del 2015 i Procol Harum si esibirono a Bellinzona. Sollecitato dall’ amico Giorgio Fieschi, non avendo più il 45 giri, realizzai un CD, con copertina originale, contenente la ‘Senza luce’ dei Dik Dik. Ebbi così la possibilità di (ri)incontrare, e questa volta di persona, Gary Brooker: lo ringraziai consegnandogli il cd, che Gary accettò con sorpresa e piacere”.
IL NUOVO ALBUM
La scomparsa di Pepe cosa comporta per i Dik Dik?
Pietruccio Montalbetti:
“Lascia un grande vuoto, ma andremo avanti. Abbiamo un nuovo produttore, Luca Nesti, che ha lavorato con Raf, Tozzi e tanti altri, ed è pure un ottimo chitarrista. Dice che è ora che la band venga rivalutata. Un paio di mesi, prima che il covid cominciasse a fare disastri, siamo stati con lui una decina di giorni in una splendida cascina di Aliano, in Toscana, per incidere un nuovo album, senza campionamenti, unicamente suoni puri, primitivi.
Tra i pezzi ce n’ è uno che ho composto recentemente, ‘Hey Man’, che parla delle conseguenze, per quanto concerne lo stato d’ animo della gente, causate dall’ epidemia. Appena possibile, torneremo a tenere concerti, da voi, in Canada, dove ci rivogliono con insistenza (certo, italo-canadesi, ma comunque tanti!), e in altre località.”
ALTRO RECENTE PEZZO
DEI DIK DIK
Ironia della sorte, pezzo per il cui lancio è stato realizzato un video ispirato dal covid, virus con cui ha lottato Pepe.
“Rifondare il nostro repertorio è un modo per rimanere vitali e carichi. Sentirsi arrivati, consolidati, spesso conduce alla fine della creatività e quindi alla morte per un’ artista. Potersi stupire davanti ad un suono nuovo è tutto”. Parole pronunciate da Pietruccio Montalbetti in occasione della pubblicazione del videoclip “Ci sarà”, singolo che ha anticipato il nuovo album e realizzato grazie al contributo fotografico di circa duemilacinquecento fans.
In tempo di pandemia, è bastato un semplice annuncio sui social richiedendo due foto (una prima del Covid, dalla finestra, l’ altra ebbra di serenità immortalante un momento pre-epidemia). La premessa, oltre 100.000 visualizzazioni in sole 24 ore, è già – come sempre per il gruppo – l’ inequivocabile indicatore dell’ amore che lo lega in maniera forte al pubblico.
Prodotto da Gaetano Rubini e Luca Nesti, “Una vita d’avventura” raccoglie undici brani, dei quali sei inediti e cinque scelti tra i maggiori successi.
“CLIC” QUI PER IL VIDEO DI “CI SARÀ”
FRA I TANTI
RICORDI …
il concertone che la band tenne in piazza del Sole nel 1989 nell’ ambito di “Feedback. Il ritorno della buona musica” (vedi articolo “Il festival che ha fatto scuola”), da me ideato ed organizzato.
Per l’ occasione invitai in piazza l’ ex organista della band, Mario Totaro, che tempo prima avevo tentato di contattare inviandogli una lettera rimasta senza risposta e che poi, casualmente, ebbi modo di incontrare durante un volo di ritorno da Roma, a bordo di un aereo da lui stesso pilotato.
I Dik Dik dopo il concerto. Primo a sinistra, di spalle, Mario Totaro
LA STORIA DELLA
BAND
Molto in sintesi, perchè Lallo e soci hanno fatto tantissime cose e inciso altrettanti brani, di cui nell’ articolo citiamo solo una parte di titoli, quelli più ricordati.
I Dik Dik nascono a Milano nel 1965. Prima Dreamers, poi Squali.
Dopo un provino procurato dall’ allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, ottengono un contratto discografico con la Dischi Ricordi e cambiano il nome in Dik Dik.
Debuttano con “1-2-3/Se rimani con me” (il secondo pezzo composto da Battisti).
Segue “Sognando la California”, ossia “California Dreamin’ “ dei Mama & Papas (testo di Mogol). Il brano riscuote un successo clamoroso, tanto che i componenti del gruppo decidono di dedicarsi a tempo pieno alla musica. Sul retro del 45 giri c’ è “Dolce di giorno”, scritta da Mogol e Lucio Battisti, che iniziano così a collaborare con la band.
Nello stesso anno i Dik Dik, con Ornella Vanoni, incidono “Io ti darò di più”.
Da quel momento si susseguono i vinili di successo: “Il mondo è con noi”, “Inno” (cover, sempre ad opera di Mogol, di “Let’s go to San Francisco” dei Flower Pot Men), “Senza luce” (“A Whiter Shade of Pale” dei “Procol Harum”), “Il vento” (retro “L’ eschimese”, versione italiana di “The Mighty Quinn” di Bob Dylan), “Il primo giorno di primavera”, con Lucio Battisti alla chitarra acustica e Pino Presti al basso elettrico.
Nel 1969 sono al Festival di Sanremo con “Zucchero” in coppia con Rita Pavone.
Ci tornano l’anno dopo con “Io mi fermo qui”.
Altro successo del 1970 è “L’ Isola di Wight”, cui fanno seguito “Vendo casa” (di Mogol e Battisti, che partecipa alla registrazione), “Viaggio di un poeta”, “Storia di periferia” e “Help me”.
Dopo tre raccolte con i singoli di successo più qualche inedito, i Dik Dik danno alle stampe il primo album originale, “Suite per una donna assolutamente relativa”.
Nel 1974 Ricordi pubblica “Help me” e Panno e Totaro lasciano il gruppo.
Sono sostituiti da Roberto Carlotto, detto “Hunka Munka”, e Nunzio “Cucciolo” Favia. Fra i vinili del periodo: “Volando” (“Sailing “di Rod Stewart) e “I te vurria vasà”.
Nel 1978 esce dal gruppo la voce storica Giancarlo “Lallo” Sbriziolo, sostituito dal chitarrista Roberto “Roby” Facini. I Dik Dik incidono, fra i tanti, “Io, te, l’ infinito”, “Amico” e “Strani fili”.
Nel 1980 alle tastiere si mette Joe Vescovi. La band incide, per ricordare alcuni titoli,
“ Vuoto a rendere“, “Laser vivente” e “Giornale di bordo”.
Nel 1982 il gruppo diventa un terzetto, con tre degli elementi originali, Pietruccio, Pepe e Lallo.
Nel 1985 partecipa a “Musicaitalia per l’ Etiopia”, incidendo con altri artisti “Nel blu dipinto di blu (Volare)”.
Da qui in poi Lallo e soci sono affiancati da diversi altri musicisti di spalla.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’ inizio dei Novanta i Dik Dik tornano a vendere. E, nel 1993, nuovamente a Sanremo con i Camaleonti e Maurizio Vandelli, con il brano “Come passa il tempo”.
Da allora hanno continuato ad apparire in trasmissioni televisive, tenere concerti e incidere album, tra cui “Isole in viaggio”, “Sogno Beat”e “Il sogno continua”.
Quella di uno dei meno ricordati vinili della band, che però
prediligo, “Il mondo è con noi” (dal repertorio dei Mamas
& Papas)
Questa, invece, la locandina della più gettonata “L’ Isola di Wight”
DALLE TASTIERE
ALLE ALI
Mario Totaro? L’ ex tastierista dei Dik Dik vive nel Locarnese e fa il pilota e l’ istruttore di volo.
Per conoscerlo, come detto, tantissimi anni fa gli scrissi. Non rispose, ma quando, finalmente, ci incontrammo – successe per caso a bordo di un aereo rientrando dall’ Italia – divenimmo subito amici.
Da allora abbiamo fatto un mucchio di belle cose insieme, dalle trasferte a Milano per l’ acquisto di cd e riviste alle visite a mostre e luoghi “storici” della musica, dai programmi radiofonici (diverse puntate di “Galassia Sessanta” sono state prodotte nel suo studio) ai concerti (l’ ho reclutato per la reunion dei Nightbirds e lo showcase di Ascona con Lallo, Pepe e Pietruccio), dalle splendide mangiate all’ “Isola di Wight” di Buccinasco, ristorante di proprietà dei suoi ex colleghi, alle chiacchierate con Mogol e altri personaggi della canzone.
Quando, poi, ha smesso di fare il pilota di linea, gli ho dedicato un documentario.
Questo
Da "Svizzera e dintorni - Rivediamoli" RSI
Il tempo passa in fretta, ma ci sono canzoni che è impossibile dimenticare, che hanno fatto la storia, ascoltando le quali qualcuno si è persino innamorato. Ad esempio, le canzoni degli inossidabili Dik Dik, quelli di “Sognando la California”, “Senza luce”, “L’ Isola di Wight” e tanti altri successi.
Il personaggio che incontriamo, l’ organista Mario Totaro, per anni è stato una colonna portante del gruppo. Storia, la sua, di un musicista che, nel momento di maggiore successo e dopo aver venduto milioni di dischi, decide di abbandonare il complesso per iniziare una nuova e del tutto diversa carriera, quella di pilota. Scelta che obbliga Totaro a lasciare l’ Italia per divenire cittadino svizzero.
Con lui Giorgio Fieschi sfoglia l’ album dei ricordi e parla dei progetti ancora nel cassetto.
Composta dopo aver
sognato i Beatles
Molti si sono chiesti, e ancora si chiedono, perchè i Dik Dik, di cui ho fatto parte fino al 1975 e la cui proposta musicale è sempre stata ben altra, abbiano sfornato un disco del genere. Colpa/merito di un sogno fatto una notte nella mia abitazione di Milano: i Beatles stavano suonando un pezzo di mia composizione che, nonostante ogni sforzo, non riuscivo a farmi riconoscere come tale.
Si sa come sono i sogni, facilmente diventano incubi per l’impossibilità di intervenire sul nostro subconscio.
Mi irritai talmente per il fatto che John Lennon e soci stessero usurpando una mia creazione che verso le tre di mattina mi svegliai di soprassalto con nella testa il ricordo vivissimo di quel tema musicale. Abitavo in un attico di un palazzo di nuova costruzione scelto per la posizione, la buona qualità dell’isolamento acustico (dato che suonavo il pianoforte), perchè ascoltavo musica tramite un potente impianto hi-fi e spesso c’ erano da me musicisti e strumenti. A renderlo perfetto il fatto che l’appartamento di fianco al mio era di proprietà di una coppia di Como che raramente veniva a Milano e pure che l’ intero piano sotto di me per molto tempo rimase invenduto. Grazie a queste fortunate circostanze, potei installare un mini studio di registrazione dotato di apparati professionali e fare musica a qualunque ora (davanti alla mia terrazza c’ era un parco e non disturbavo praticamente nessuno).
Tornando al sogno, dopo il brusco risveglio accesi subito l’ impianto di registrazione e con entusiasmo mi misi al piano. Suonai di getto, quella musica mi sembrò di averla già sentita, per come accordi e melodia venivano fuori in modo naturale e fluente. Spento tutto, tornai a dormire e non ci pensai più. Era l’ inizio del 1972.
Tempo dopo, riavvolgendo la bobina di uno dei miei “Revox” (quello che usavo poco), vidi che avevo inciso qualcosa. Ascoltando il nastro, ritrovai ciò che avevo registrato quella notte ed ormai dimenticato. Il contenuto era musicalmente molto interessante, per cui mi diedi da fare per verificare se fosse qualcosa già sentito e involontariamente memorizzato; essendo musica inedita, cominciai ad elaborare, sviluppare e scrivere sul pentagramma ottimizzando il tutto.
Ovviamente feci sentire questi abbozzi ai Dik Dik ed ad altri musicisti del mio giro.
Lallo, Pepe, Pietruccio e Sergio non si entusiasmarono per via del genere, altri invece, come Maurizio Vandelli, che nel frattempo era diventato nostro produttore discografico (Mogol, avendo fondato con Lucio Battisti la casa discografica Numero Uno, ci aveva dovuto lasciare), dimostrarono molto interesse.
Nel frattempo avevo instaurato un rapporto professionale con Herbert Pagani ed Annalena Limentani, sua produttrice. Questo grazie specialmente alla parallela attività che all’ epoca svolgevo nel campo degli impianti acustici. Attività iniziata collaborando nella realizzazione di un impianto speciale prodotto per loro dalla ditta Semprini, della quale ero anche progettista.
Ovviamente il rapporto con Pagani non rimase limitato alla tecnica audio, ma si estese automaticamente all’ ambito musicale e poi a quello creativo.
Su spinta di Vandelli, che da tempo frequentavo privatamente – insieme avevamo acquistato in Inghilterra e piazzato a casa sua dei Mellotron -, continuai a sviluppare i temi legati alla musica del famoso sogno con l’ idea di farne qualcosa di originale.
Durante una sessione in studio con Herbert (registrava trasmissioni per Radio Montecarlo) li accennai al pianoforte. Essendo eccellente e poetico autore, gli piacquero molto, tanto che si offrì di scrivere i testi, aggiungendo che avrebbero ben figurato, più che in un un normale lp, in un concept album. Essendo i temi musicali correlati tra loro, intravvide la possibilità di raccontare una storia che avesse un inizio ed una fine senza soluzione di continuità. Il fatto che in quel periodo fosse innamoratissimo di una simpatica e bella attrice italiana che viveva a Parigi, lo ispirò nella mitizzazione della protagonista, la donna, come sicuramente traspare dai testi. Alla fine il lavoro divenne una suite completa.
Ottenuta dall’ editore e dalla casa discografica l’ autorizzazione a realizzare il progetto, per l’ elaborazione e l’ adattamento del testo, fui invitato da Pagani a risiedere per diversi giorni presso la sua abitazione di Parigi, nel quartiere di Montmartre. Per seguire i suoi ritmi, ciondolavo tutto il giorno dai vari studi agli uffici della città. Si lavorava quindi di notte, fortunatamente senza reclami da parte dei vicini per il suono del piano. Il risultato fu molto buono, ma adatto unicamente a mentalità e palati raffinati. Basti ricordare che durante la registrazione, per via di alcuni testi allora considerati spinti e anticonformisti, Lallo si rifiutò di cantare alcuni brani. Dovetti pertanto farlo io, che non sono certamente un solista.
Mario, Sergio, Lallo, Pepe e Pietruccio
In quegli anni gli studi di registrazione erano molto costosi e, seppure di proprietà della stessa casa discografica, bisognava incidere il più velocemente possibile. Questo per rispettare il budget previsto. Per motivi pratici (e anche perché i miei colleghi non erano molto stimolati dal progetto) per incidere la base ritmica Vandelli decise di utilizzare come “turnisti” due componenti della Premiata Forneria Marconi sicuramente più adatti al genere e svelti, Giorgio Piazza e Franz Di Cioccio. Le loro parti erano estremamente semplici, per cui registrammo basso e batteria in due turni di un solo giorno. I giorni successivi (avevamo lo studio per una sola settimana) vennero dedicati all’incisione del resto, buona parte del quale doveva essere improvvisato sulla base di una guida armonica e del proprio stato d’animo. Gli altri strumenti suonati furono: organo Hammond, Moog, Mellotron (in cui avevo da poco inserito nuovi suoni), pianoforte, piano elettrico, diversi strumenti a percussione e chitarre acustiche ed elettriche. Il sottoscritto si mise alle tastiere, mentre le chitarre furono affidate ai Dik Dik e allo stesso Vandelli. Lallo e soci realizzarono le parti vocali, esse pure incise negli studi Ricordi di Via dei Cinquecento.
La geniale ed originale copertina del disco venne realizzata dall’ indimenticato, famoso fotografo e grafico Caesar Monti (fratello di Pietruccio). A lui, con gli altri Dik Dik, devo un grande “grazie” pure per quanto fatto per la band già all’inizio della carriera. Ma questa é un’altra storia!
“Suite per una donna assolutamente relativa” fu pubblicato verso la fine del 1972 con due tracce intere sulle due facciate, cosa che molti nell’ambiente discografico non apprezzarono particolarmente. I dispositivi tecnici delle regie audio dell’ epoca, poi, resero difficoltosa la messa in onda dei pezzi alla radio, per cui “Suite per una donna assolutamente relativa” non venne quasi mai trasmesso, fu poco promosso e, di conseguenza, vendette poco. Aggiungo che neppure negli spettacoli dal vivo pezzi di questo vinile vennero suonati, per il fatto che non facevano parte del repertorio che il pubblico si aspettava di sentire.
Il riscatto trentuno anni dopo: nel 2003 l’ album é infatti stato rimasterizzato, divenendo così, per gli appassionati di Progressive Rock, un altro “Must Have”. Ne sono sorprendentemente state vendute moltissime copie nei paesi dell’ Estremo Oriente (ne ho alcune con le scritte in logogrammi).
Nella masterizzazione del CD le parti inizialmente unite, grazie alla più moderna tecnica digitale, sono state “divise” in singoli titoli tramite dei “segnalibri” elettronici, consentendo così all’ acquirente di poterle identificare e ascoltare separatamente.
Mario Totaro
PEPE
Un ricordo dell’ indimenticato Erminio Pepe Salvaderi, come gli altri Dik Dik (fatta eccezione per il batterista Sergio Panno, che non ho mai conosciuto), un grande amico.
Aneddoto che amavamo spolverare ogni volta che ci incontravamo – l’ ultima, in ordine di tempo, ad Ascona, per lo showcase della band – quello delle sue trasferte oltre San Gottardo per gustare i mitici “Rösti”. “Mi piacevano tantissimo – raccontava – per cui spesso macinavo chilometri e chilometri per farmene una scorpacciata; tappa obbligatoria: Buochs (Nidvaldo) . Ci sono voluti moltissimi anni prima che mi accorgessi che li cucinavano molto bene pure all’ ‘Olimpia’ di Lugano!”
Pepe amava altresì ricordare che, agli inizi della carriera, con Lallo e gli altri veniva spesso in città per acquistare, presso il negozio Gemetti di piazza della Riforma, le novità discografiche, che ai tempi arrivavano prima da noi che in Italia.