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I DIK DIK

Ultimo aggiornamento 16 Novembre 2025

“LALLO, LA VOCE DEI DIK DIK”

è il titolo del libro (Bertone Editore) che Giancarlo
Sbriziolo e Claudio Sassi, appassionato collezionista
novarese di vinili, stanno per dare alle stampe: la vita
del cantante milanese, ma anche, inevitabilmente,
la storia della sua longeva band.

Presentato nel corso di una

MAGICA SERATA

il 12 novembre in una una gremita all’ inverosimile
Sala multiuso di Arbedo.

Pubblico incantato da aneddoti, esclusivi filmati e
inossidabili brani – tra cui “Sognando la California”
e “L’ isola di Wight” – brillantemente coverizzati
dai pugliesi Paipers con la preziosa complicità
dell’ ex tastierista della storica band milanese,
Mario Totaro.

Un’ idea

“Feedback. Il ritorno della buona musica”
Comune di Arbedo-Castione

I DIK DIK
Nei camerini …

I DIK DIK
I DIK DIK
I DIK DIK
e in scena

Se ben ricordo,

ci siamo conosciuti negli anni Settanta, in occasione di un
concerto tenuto dai Dik Dik a Cadenazzo. Un po’ di corsa,
per la verità, poiché la band, conclusa la serata, aveva
fretta di ripartire.

Ci siamo ritrovati nei primi Ottanta, in piazza del Sole
a Bellinzona, dove avevo organizzato la prima edizione
dell’ esclusivo festival dedicato ai mitici “Sixties”:
“Feedback. Il ritorno della buona musica”.

Un sogno che finalmente si avverava: trascorrere una
giornata con uno dei gruppi italiani per cui, dai tempi
del Ginnasio, ho un debole, i Dik Dik, in particolare
con il loro frontman, dalla quasi sciamanica voce, Lallo.

I DIK DIK
Foto Angela Garro

Voce, va ricordato, che apprezzava e prediligeva anche
l’ immenso Lucio Battisti, genio del quale, chi scrive,
ha avuto l’ onore e la fortuna di raccogliere – ultimo
al mondo! – pensieri e parole nel corso di un memorabile
pomeriggio zurighese.

Lallo, splendido cantante, si. Ma non solo.

Persona, pure, dotata di grande umanità, senso
dell’ umorismo e ironia, dall’ innato desiderio
di conoscere e capire il mondo che la circonda,
fantasiosa. 

Uno con cui è facile perdere cognizione del tempo
quando sei al telefono o siedi a un tavolo, che trasmette
serenità, allegria, voglia di fare.

E che da anni fa parte di quella cerchia di amici che
puoi contare sulle dita di una mano.

Ripensandoci: quanti i bei momenti trascorsi insieme,
gli avvincenti progetti realizzati con la sua indispensabile
complicità!

Tanto per ricordarne alcuni, i concerti, messi in piedi
in mezzo Ticino e sempre caratterizzati dal “tutto esaurito”;
fra quelli maggiormente rimasti impressi nella memoria
del pubblico, certamente lo spettacolo, ancora in piazza
del Sole a Bellinzona, al fianco di Maurizio Vandelli e
Shel Shapiro, davanti a quasi trentamila entusiasti
spettatori.

Poi i programmi radiofonici e televisivi (record d’ ascolti
alla Telvisione della Svizzera Italiana per il servizietto su
Lallo alla ricerca del vinile perduto), nonché gli showcases
(il più recente, ad Ascona, risale al 2019 e vi prese parte
anche l’ ex tastierista Mario Totaro, ora svizzero e
affermato pilota). 

Artista, Lallo, che altresì continua a (piacevolmente)
sorprendere. 

Chi l’ avrebbe detto, è anche un talentuoso scrittore,
che – a breve distanza uno dall’ altro – è riuscito a sfornare
ben tre gettonatissimi gialli.

E adesso, – finalmente! – un’ altra pubblicazione
da leggere tutto d’ un fiato, realizzata con il prezioso
apporto di Claudio Sassi e che consentirà di meglio
conoscere la storia di una delle colonne portanti della
musica leggera italiana e della sua longeva band.  

IL GIALLO DI LALLO

Da tempo Lallo, oltre che alla musica, si è dato alla
letteratura. Visto l’ interesse suscitato con il recentissimo
“Una strana storia: un giallo in rosa” (Italian Edition/
Amazon), è tornato in libreria con il seguito del romanzo,
“Due facce della stessa medaglia”.

Secondo episodio delle avventure di Sandri Mattia,
alias Ginko, e del socio ed amico Carlo Sorrentino, detto
il Falco, investigatori privati, chiamati a Roma dal
commissario Accorsi per indagare ul misterioso omicidio
di un’ esperta di numismatica. Tutto ruota intorno a due
monete d’ oro di grande valore: vengono seguite varie
piste nel mondo della mafia russa e in quello della
piccola criminalità locale.

I DIK DIK

«La voglia di scrivere – racconta –  m’ è venuta durante
il periodo del Covid. Prima, per la verità, sfogliavo solo
fumetti, mi accontentavo delle figure, neppure leggevo il testo.
Adesso sono un fiume in piena. Ho già in mente il quarto
ed il quinto libro!».

Niente più musica, quindi?

«No, la musica rimane prioritaria, però, come detto,
voglio sfornare altri libri, per puro divertimento. Libri
senza pretese, divertenti, da leggere al mare».

RICORDANDO GARY

Nel 2015, realizzando un servizio per “Il Quotidiano”
della RSI a Bellinzona, feci rincontrare, a distanza di molti
anni, Gary Brooker e l’ ex tastierista dei Dik Dik Mario Totaro,
che al leader dei Procol Harum consegnò copia della
versione italiana di “A Whiter Shade Of Pale”, “Senza luce”,
testo di Mogol.

A Mario ho chiesto di raccontare come fu possibile ai
Dik Dik accaparrarsi un pezzo tanto ambito.

I DIK DIK
I DIK DIK
Con Mario nella residenza locarnese

“SENZA LUCE”

«All’ inizio dell’ estate 1967 – ricorda – negli ambienti
musicali si favoleggiava di un pezzo inglese che sarebbe
stato un travolgente successo. Ne avevo sentito
parlare, senza però la possibilità di ascoltarlo.

A quei tempi le case editrici e discografiche acquisivano
a caro prezzo l’ esclusiva, il diritto di impedire che il disco
originale venisse distribuito in Italia non prima di almeno
sei mesi o più dalla pubblicazione.

Scopo della costosa procedura consentire la realizzazione
di una versione italiana ad opera di artisti facenti parte
delle proprie scuderie, con la speranza di raggiungere
vendite possibilmente simili o superiori a quelle del
disco originale.

I primi giorni di agosto del 1967, dopo una esibizione
in un famoso locale di Ostia con i Dik Dik, diedi un
passaggio per Milano ad una ragazza che lavorava
alle edizioni musicali Ricordi.

Durante il viaggio mi raccontò della ‘guerra’ tra i vari
produttori per accaparrarsi il successone e realizzarne
una versione italiana da affidare a uno dei solisti o
gruppi Ricordi, almeno una decina, tutti desiderosi
di poterlo riincidere.

Fortunatamente, su consiglio del tastierista della band
inglese Dave Anthony’s Moods’, Bob Michaels (in quei giorni
impegnata con serate al Piper di Milano), mi decisi ad
acquistare un ‘magico’ organo Hammond, simile a quello
suonato da Bob. Era in esposizione presso la ditta
Castellini, in via Larga a Milano. Andammo insieme
e provarlo.

Il prezzo era molto alto, potei acquistare lo strumento
unicamente grazie all’ aiuto di mio padre, ormai rassegnatosi
al fatto che suonassi in un complesso di discreto successo.
Unica condizione: che continuassi gli studi.

Non mi fu però possibile acquistare anche il mitico
amplificatore Leslie, che mi avrebbe consentito di ottenere
i suoni desiderati, quelli del disco dei Procol Harum.
Va detto che i Leslie arrivavano dagli Stati Uniti con il
contagocce e subito venivano venduti. Riuscii ad ottenerne
finalmente uno molto tempo dopo, ma questa è tutta
un’ altra storia (anche dal profilo tecnico).

Tornando a quella sera d’ estate, percorrendo la costa
tirrenica, la ragazza mi disse che il disco era arrivato in Italia,
ma di straforo (i Disc Jockey’s di allora si procuravano
i dischi bloccati all’ importazione per vie traverse, quasi di
contrabbando, recandosi in Svizzera o facendoseli spedire).
Attraversando la cittadina ligure di Chiavari, vedemmo una
bellissima discoteca, decidemmo di entrare per ballare.
Dopo alcuni brani, fu la volta del pezzo dei Procol Harum,
con tutta la sua magia, creata specialmente dal loro organo
Hammond. Fu un momento magico. Che canzone,
che sound, una cosa indimenticabile. Roba da pelle d’ oca!

Pezzo che per il resto del viaggio verso Milano mi rimbombò
nelle orecchie. Capii allora perché tutti volevano farne una
cover.

Però ci voleva un organo Hammond, come quello dei
Procol, Harum, dalle stesse sonorità.

I DIK DIK

I DIK DIK

Alcuni giorni dopo seppi che, i nostri produttori di allora,
Mogol e Battisti, avevano ottenuto che fossimo proprio noi
Dik Dik a incidere la cover, che, con il bellissimo testo di
Mogol, divenne ‘Senza luce’. Disco che presentammo
al ‘Cantagiro’ ricevendo il Disco d’oro.

Per la realizzazione di ‘Senza luce’ andammo in sala
di registrazione poco prima di Ferragosto.

Tutto fu fatto in gran segreto, nessuno doveva scoprire che
lo stavamo incidendo. Da parte mia, studiai a fondo ogni nota
e sfumatura armonica della parte organistica. L’ esecuzione
fu estremamente impegnativa dal momento che la parte
d’ organo doveva essere eseguita senza interruzioni sull’ unica
pista disponibile del nastro magnetico. Credo di aver cominciato
a suonare dopo cena. Continuavo a fare e rifare perché, di tanto
in tanto, incappavo in qualche comprensibile errore o
imprecisione.

Lucio Battisti fungeva da direttore artistico in sala di regia,
spesso fermandomi e dicendomi di ricominciare. Se ben ricordo,
prima dell’ una di notte, riuscii finalmente ad eseguire
l’ intera parte senza interruzioni.

Dopo una pausa concessami dalla regia, che a me sembrò
interminabile, Lucio mi gridò nelle cuffie: ‘Bravo Mastellazio
(a quei tempi il mio soprannome, essendo piuttosto sovrappeso),
questa era buona’.

Il giorno dopo tornammo in studio per completare la registrazione
con l’ aggiunta del canto.

Quanto alla mancanza dell’ indispensabile Leslie, devo ringraziare
il giovane ingegnere del suono Walter Patergnani, che con
miracolosi accorgimenti tecnici riuscì a simulare le sonorità
del disco dei Procol.

Durante la lavorazione – l’ Italia in quei giorni era in ferie -,
vista la segretezza dell’ operazione, ogni volta che Mogol,
Battisti o chiunque altro doveva rispondere al telefono,
strumenti e voci si zittivano, questo per evitare che chi
stava dall’ altra parte del filo ‘fiutasse’ qualcosa.

Mesi dopo seppi che i Procol Harum sarebbero venuti al
Piper di Milano. Essendo un loro super ammiratore,
non persi l’ occasione di andare a sentirli dal vivo.

Al Piper mi posizionai proprio davanti a Gary Brooker,
guardando e ascoltando con molta attenzione: la band
aveva veramente una gran classe! 
Ovviamente non fu
facile seguirli bene, in quanto nel locale c’ era una ressa
incredibile. I Procol Harum, poi, suonavano sulla pista
da ballo. Non ho mai capito perché non fossero su uno
dei due palchi del locale. Serata comunque emozionante,
durante la quale mi guardai bene dal presentarmi, tanto
meno scambiare qualche parola con qualcuno del
complesso.

Finito il concerto, sgattaiolai tra la folla con le orecchie in
cui rimbonbava il pezzo che avevo appena ascoltato.
Mi sentivo un po’ colpevole, quasi un ladro, per aver
copiato nei dettagli l’ opera dei Procol.

Pochi sanno che, dopo il successo di ‘Senza luce’, avremmo
voluto rimanere nello stesso ambito musicale incidendo
la versione italiana di un altro grande successo dei
Procol Harum, ‘Homburg’, ma le trame editoriali fecero sì
che il pezzo venisse affidato ai Camaleonti.

Il 24 Luglio del 2015 i Procol Harum si esibirono a Bellinzona.
Sollecitato dall’ amico Giorgio Fieschi, non avendo più il 45 giri,
realizzai un cd, con copertina originale, contenente la ‘Senza luce’
dei Dik Dik. Ebbi così la possibilità di rincontrare, e questa volta
di persona, Gary Brooker: lo ringraziai consegnandogli il cd,
che Gary accettò con sorpresa e piacere»
.

“CI SARÀ”

Ironia della sorte, pezzo per il cui lancio è stato realizzato
un video ispirato dal covid, virus con cui ha lottato e
ucciso Pepe.

«Rifondare il nostro repertorio è un modo per rimanere
vitali e carichi. Sentirsi arrivati, consolidati, spesso conduce
alla fine della creatività e quindi alla morte per un’ artista.
Potersi stupire davanti ad un suono nuovo è tutto»
.

Parole pronunciate da Pietruccio Montalbetti in occasione
della pubblicazione del videoclip “Ci sarà”, singolo che
ha anticipato il nuovo album e realizzato grazie al
contributo fotografico di circa duemilacinquecento fans.

In tempo di pandemia, è bastato un semplice annuncio sui
social richiedendo due foto (una prima del Covid, dalla
finestra, l’ altra ebbra di serenità immortalante un momento
pre-epidemia). La premessa, oltre 100.000 visualizzazioni
in sole 24 ore, è già – come sempre per il gruppo –
l’ inequivocabile indicatore dell’ amore che lo lega in
maniera forte al pubblico.

Prodotto da Gaetano Rubini e Luca Nesti, “Una vita
d’avventura” raccoglie undici brani, dei quali sei inediti
e cinque scelti tra i maggiori successi.

“CLIC” QUI PER IL VIDEO DI “CI SARÀ”

FRA I TANTI
RICORDI …

il concertone che la band tenne in piazza del Sole nel 1989
nell’ ambito di “Feedback. Il ritorno della buona musica”,
da me ideato ed organizzato.

Per l’ occasione invitai in piazza l’ ex organista della band,
Mario Totaro, che tempo prima avevo tentato di contattare
inviandogli una lettera rimasta senza risposta e che
poi, casualmente, ebbi modo di incontrare durante un volo
di ritorno da Roma, a bordo di un aereo da lui pilotato.

I DIK DIK
I Dik Dik dopo il concerto. Primo a sinistra, di spalle, Mario Totaro

LA STORIA DELLA
BAND

Molto in sintesi, perché Lallo e soci hanno fatto tantissime cose
e inciso altrettanti brani, di cui nell’ articolo citiamo solo una
parte di titoli, quelli più ricordati.

I Dik Dik nascono a Milano nel 1965. Prima Dreamers,
poi Squali.

Dopo un provino procurato dall’ allora arcivescovo di Milano
Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, ottengono
un contratto discografico con la Dischi Ricordi e cambiano
il nome in Dik Dik.

Debuttano con “1-2-3″/”Se rimani con me” (il secondo pezzo
composto da Battisti).

Segue “Sognando la California”, ossia “California Dreamin’ “
dei Mama & Papas (testo di Mogol). Il brano riscuote un
successo clamoroso, tanto che Lallo e soci decidono di
dedicarsi a tempo pieno alla musica. Sul retro del 45 giri
c’ è “Dolce di giorno”, scritta da Mogol e Lucio Battisti,
che iniziano così a collaborare con la band.

Nello stesso anno i Dik Dik, con Ornella Vanoni, incidono
“Io ti darò di più”.

I DIK DIK

Da quel momento si susseguono i vinili di successo: “Il mondo è con noi”, “Inno”
(cover, sempre ad opera di Mogol, di “Let’s go to San Francisco” dei Flower Pot Men),
“Senza luce” (“A Whiter Shade of Pale” dei “Procol Harum”), “Il vento”
(retro “L’ eschimese”, versione italiana di “The Mighty Quinn” di Bob Dylan),
“Il primo giorno di primavera”, con Lucio Battisti alla chitarra acustica e Pino Presti
al basso elettrico.

I DIK DIK

Nel 1969 sono al Festival di Sanremo con “Zucchero” in coppia con Rita Pavone.

Ci tornano l’anno dopo con “Io mi fermo qui”.

Altro successo del 1970 è “L’ Isola di Wight”, cui fanno seguito “Vendo casa”
(di Mogol e Battisti, che partecipa alla registrazione), “Viaggio di un poeta”,
“Storia di periferia” e “Help me”.

Dopo tre raccolte con i singoli più gettonati e qualche inedito, i Dik Dik
danno alle stampe il primo album originale, “Suite per una donna
assolutamente relativa”.

Nel 1974 Ricordi pubblica “Help me” e Panno e Totaro lasciano il gruppo.

I DIK DIK

Sono sostituiti da Roberto Carlotto, detto “Hunka Munka”, e Nunzio “Cucciolo” Favia.
Fra i vinili del periodo: “Volando” (“Sailing “di Rod Stewart) e “I te vurria vasà”.

Nel 1978 esce dal gruppo la voce storica Lallo Sbriziolo, sostituito dal chitarrista
Roberto “Roby” Facini. I Dik Dik incidono, fra i tanti, “Io, te, l’ infinito”, “Amico”
e “Strani fili”.

Nel 1980 alle tastiere si mette Joe Vescovi. La band incide, per ricordare alcuni titoli,
“ Vuoto a rendere“, “Laser vivente” e “Giornale di bordo”.

Nel 1982 il gruppo diventa un terzetto, con tre degli elementi originali, Pietruccio,
Pepe e Lallo.

Nel 1985 partecipa a “Musicaitalia per l’ Etiopia”, incidendo con altri artisti
“Nel blu dipinto di blu (Volare)”.

Da qui in poi Lallo e soci sono affiancati da diversi altri musicisti di spalla.

Tra la fine degli anni Ottanta e l’ inizio dei Novanta i Dik Dik tornano a vendere.
E, nel 1993, nuovamente a Sanremo con i Camaleonti e Maurizio Vandelli,
con il brano “Come passa il tempo”.

Da allora hanno continuato ad apparire in trasmissioni televisive,
tenere concerti e incidere album, tra cui “Isole in viaggio”, “Sogno Beat”,
“Il sogno continua”e “Una vita d’ avventura”.

I DIK DIK
I DIK DIK
I DIK DIK
I DIK DIK
I DIK DIK
Quella di uno dei meno ricordati vinili della band, che però
prediligo, “Il mondo è con noi” (dal repertorio dei Mamas
& Papas)

I DIK DIK
Questa, invece, la locandina della più gettonata “L’ Isola di Wight”

DALLE TASTIERE
ALLE ALI

Mario Totaro? L’  ex tastierista dei Dik Dik vive nel Locarnese
e fa il pilota e l’ istruttore di volo.

Per conoscerlo, come detto, tantissimi anni fa gli scrissi.
Non rispose, ma quando, finalmente, ci incontrammo
– successe per caso a bordo di un aereo rientrando dall’ Italia –
divenimmo subito amici.

Da allora abbiamo fatto un mucchio di belle cose insieme,
dalle trasferte a Milano per l’ acquisto di cd e riviste
alle visite a mostre e luoghi “storici” della musica,
dai programmi radiofonici (diverse puntate di
“Galassia Sessanta” sono state prodotte nel suo studio)
ai concerti (l’ ho reclutato per la reunion dei Nightbirds
e lo showcase di Ascona con Lallo, Pepe e Pietruccio),
dalle splendide mangiate all’ “Isola di Wight” di Buccinasco,
ristorante di proprietà dei suoi ex colleghi, alle chiacchierate
con Mogol e altri personaggi della canzone.

Quando, poi, ha smesso di fare il pilota di linea, gli ho
dedicato un documentario (“Il pilota dei Dik Dik”,
Televisione della Svizzera Italiana).

Composta dopo aver
sognato i Beatles

Molti – si sono chiesti, e ancora si chiedono, perchè i Dik Dik,
di cui ho fatto parte fino al 1975 e la cui proposta musicale
è sempre stata ben altra, abbiano sfornato un disco del genere.
Colpa/merito di un sogno fatto una notte nella mia abitazione
di Milano: i Beatles stavano suonando un pezzo di mia
composizione che, nonostante ogni sforzo, non riuscivo
a farmi riconoscere come tale.

Si sa come sono i sogni, facilmente diventano incubi per
l’ impossibilità di intervenire sul nostro subconscio.

Mi irritai talmente per il fatto che John Lennon e soci stessero
usurpando una mia creazione, che verso le tre di mattina
mi svegliai di soprassalto con nella testa il ricordo vivissimo
di quel tema musicale. Abitavo in un attico di un palazzo
di nuova costruzione scelto per la posizione, la buona qualità
dell’ isolamento acustico (dato che suonavo il pianoforte),
perché ascoltavo musica tramite un potente impianto hi-fi
e spesso c’ erano da me musicisti e strumenti. A renderlo
perfetto il fatto che l’appartamento di fianco al mio era di
proprietà di una coppia di Como che raramente veniva a
Milano e pure che l’ intero piano sotto di me per molto
tempo rimase invenduto. Grazie a queste fortunate circostanze,
potei installare un mini studio di registrazione dotato di
apparati professionali e fare musica a qualunque ora
(davanti alla mia terrazza c’ era un parco e non disturbavo
praticamente nessuno).

Tornando al sogno, dopo il brusco risveglio accesi subito
l’ impianto di registrazione e con entusiasmo mi misi al piano.
Suonai di getto, quella musica mi sembrò di averla già sentita,
per come accordi e melodia venivano fuori in modo naturale
e fluente. Spento tutto, tornai a dormire e non ci pensai più.
Era l’ inizio del 1972.

Tempo dopo, riavvolgendo la bobina di uno dei miei “Revox”
(quello che usavo poco), vidi che avevo inciso qualcosa.
Ascoltando il nastro, ritrovai  ciò che avevo registrato quella
notte ed ormai dimenticato. Il contenuto era musicalmente
molto interessante, per cui mi diedi da fare per verificare
se fosse qualcosa già sentito e involontariamente memorizzato;
essendo musica inedita, cominciai ad elaborare, sviluppare
e scrivere sul pentagramma ottimizzando il tutto.

Ovviamente feci sentire questi abbozzi ai Dik Dik ed
ad altri musicisti del mio giro.

Lallo, Pepe, Pietruccio e Sergio non si entusiasmarono
per via del genere, altri invece, come Maurizio Vandelli,
che nel frattempo era diventato nostro produttore discografico
(Mogol, avendo fondato con Lucio Battisti la casa discografica
Numero Uno, ci aveva dovuto lasciare), dimostrarono
molto interesse.

I DIK DIK

Nel frattempo avevo instaurato un rapporto professionale con
Herbert Pagani ed Annalena Limentani, sua produttrice.
Questo grazie specialmente alla parallela attività che all’ epoca
svolgevo nel campo degli impianti acustici. Attività iniziata
collaborando nella realizzazione di un impianto speciale
prodotto per loro dalla ditta Semprini, della quale ero
anche progettista.

Ovviamente il rapporto con Pagani non rimase limitato
alla tecnica audio, ma si estese automaticamente all’ ambito
musicale e poi a quello creativo.

Su spinta di Vandelli, che da tempo frequentavo privatamente
– insieme avevamo acquistato in Inghilterra e piazzato a
casa sua dei Mellotron -, continuai a sviluppare i temi legati
alla musica del famoso sogno con l’ idea di farne qualcosa
di originale.

Durante una sessione in studio con Herbert (registrava
trasmissioni per Radio Montecarlo) li accennai al pianoforte.
Essendo eccellente e poetico autore, gli piacquero molto,
tanto che si offrì di scrivere i testi, aggiungendo che avrebbero
ben figurato, più che in un normale lp, in un concept album.
Essendo i temi musicali correlati tra loro, intravvide la
possibilità di raccontare una storia che avesse un inizio
ed una fine senza soluzione di continuità. Il fatto che in
quel periodo fosse innamoratissimo di una simpatica e bella
attrice italiana che viveva a Parigi, lo ispirò nella mitizzazione
della protagonista, la donna, come sicuramente traspare
dai testi. Alla fine il lavoro divenne una suite completa.

Ottenuta dall’ editore e dalla casa discografica l’ autorizzazione
a realizzare il progetto, per l’ elaborazione e l’ adattamento
del testo, fui invitato da Pagani a risiedere per diversi giorni
presso la sua abitazione di Parigi, nel quartiere di Montmartre.
Per seguire i suoi ritmi, ciondolavo tutto il giorno dai vari
studi agli uffici della città. Si lavorava quindi di notte,
fortunatamente senza reclami da parte dei vicini per il suono
del piano. Il risultato fu molto buono, ma adatto unicamente
a mentalità e palati raffinati. Basti ricordare che durante
la registrazione, per via di alcuni testi allora considerati
spinti e anticonformisti, Lallo si rifiutò di cantare alcuni brani.
Dovetti pertanto farlo io, che non sono certamente un solista.

I DIK DIK
Mario, Sergio, Lallo, Pepe e Pietruccio

In quegli anni gli studi di registrazione erano molto costosi e,
seppure di proprietà della stessa casa discografica, bisognava
incidere il più velocemente possibile. Questo per rispettare
il budget previsto. Per motivi pratici (e anche perché i miei
colleghi non erano molto stimolati dal progetto) per incidere
la base ritmica Vandelli decise di utilizzare come “turnisti”
due componenti della Premiata Forneria Marconi
sicuramente più adatti al genere e svelti, Giorgio Piazza e
Franz Di Cioccio. Le loro parti erano estremamente semplici,
per cui registrammo basso e batteria in due turni di un solo
giorno. I giorni successivi (avevamo lo studio per una sola
settimana) vennero dedicati all’incisione del resto, buona
parte del quale doveva essere improvvisato sulla base di
una guida armonica e del proprio stato d’animo. Gli altri
strumenti suonati furono: organo Hammond, Moog,
Mellotron (in cui avevo da poco inserito nuovi suoni),
pianoforte, piano elettrico, diversi strumenti a percussione
e chitarre acustiche ed elettriche. Il sottoscritto si mise
alle tastiere, mentre le chitarre furono affidate ai Dik Dik
e allo stesso Vandelli. Lallo e soci realizzarono le parti vocali,
esse pure incise negli studi Ricordi di Via dei Cinquecento.

I DIK DIK

La geniale ed originale copertina del disco venne realizzata
dall’ indimenticato, famoso fotografo e grafico Caesar Monti
(fratello di Pietruccio). A lui, con gli altri Dik Dik, devo
un grande “grazie” pure per quanto fatto per la band già
all’ inizio della carriera. Ma questa é un’altra storia!

“Suite per una donna assolutamente relativa” fu pubblicato
verso la fine del 1972 con due tracce intere sulle due facciate,
cosa che molti nell’ambiente discografico non apprezzarono
particolarmente. I dispositivi tecnici delle regie audio
dell’ epoca, poi, resero difficoltosa la messa in onda dei
pezzi alla radio, per cui “Suite per una donna assolutamente
relativa” non venne quasi mai trasmesso,  fu poco promosso e,
di conseguenza, vendette poco. Aggiungo che neppure negli
spettacoli dal vivo pezzi di questo vinile vennero suonati,
per il fatto che non facevano parte del repertorio che
il pubblico si aspettava di sentire.

Il riscatto trentuno anni dopo: nel 2003 l’ album
é infatti stato rimasterizzato, divenendo così, per gli
appassionati di Progressive Rock, un altro
“Must Have”. Ne sono sorprendentemente state
vendute moltissime copie nei paesi dell’ Estremo
Oriente (ne ho alcune con le scritte in logogrammi).

Nella masterizzazione del CD le parti inizialmente unite,
grazie alla più moderna tecnica digitale, sono state
“divise” in singoli titoli tramite dei “segnalibri” elettronici,
consentendo così all’ acquirente di poterle identificare
e ascoltare separatamente.

PEPE

Un ricordo dell’ indimenticato Erminio Pepe Salvaderi,
come gli altri Dik Dik (fatta eccezione per il batterista
Sergio Panno, che non ho mai conosciuto), un grande
amico.

Aneddoto che amavamo spolverare ogni volta che
ci incontravamo – l’ ultima, in ordine di tempo, ad Ascona,
per lo showcase della band – quello delle sue trasferte
oltre San Gottardo per gustare i mitici “Rösti”.
“Mi piacevano tantissimo – raccontava – per cui spesso
macinavo chilometri e chilometri per farmene
una scorpacciata; tappa obbligatoria: Buochs (Nidvaldo) .
Ci sono voluti moltissimi anni prima che mi accorgessi
che li cucinavano molto bene pure all’ ‘Olimpia’ di Lugano!
“

Pepe amava altresì ricordare che, agli inizi della carriera,
con Lallo e gli altri veniva spesso in città per acquistare,
presso il negozio Gemetti di piazza della Riforma,
le novità discografiche, che ai tempi arrivavano prima
da noi che in Italia.

 

 

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