Ultimo aggiornamento 15 Marzo 2025
BOB MICHAELS: DAI LOCALI
DELLA SWINGING LONDON
ALLA CATTEDRALE
DI LUGANO
Nato a Bournemouth, ha studiato presso la Canford School,
dove si è laureato in letteratura inglese, musicologia e
germanistica. Ha conseguito il diploma in Organo e Direzione
corale al Conservatorio di Zurigo e ha seguito corsi di
perfezionamento a Londra e all’ Università di Cambridge.
In sintesi, Robert Michaels, fondatore e direttore della
Scuola corale della cattedrale di Lugano.
«Facemmo una tappa vicino a Ravenna. Durante la notte
ebbi un sogno, sentii una voce: “Domani vai a San Francesco
di Padova”. Ci andai con un amico, vi trovai, a fatica, una
piccola chiesa, dove incontrai un frate al quale chiesi di vedere
l’ organo. Non ricordo di cosa parlammo, ma so che
da lì uscii con una rinnovata fede nel cristianesimo».
Molti quanti lo conoscono e apprezzano, pochi, per contro,
coloro i quali sanno che ha un passato da capellone.
In breve la storia.
I DAVE ANTHONY’S MOODS
nascono nel 1965 a Bournemouth dall’ unione di ex membri
dei Trackmarks (Tim Large alla chitarra, Bob Michaels
all’ organo e Bill Jacobs al basso) con l’ ex cantante dei
Dave Anthony & The Rebels Tony Head (alias Dave Anthony),
con il batterista John De Vekey e la sezione fiati composta
da Pete Sweet (sax), Graham Livermore (trombone)
e Andy Kirk (tromba).
Nel 1966 Sweet viene brevemente sostituito dal jazzista
Bon Downes e, nell’ aprile dello stesso anno, i Dave
Anthony’s Moods pubblicano il loro primo singolo,
“New Directions”/”Give it a Chance”.
Successivamente la formazione si riduce a sette elementi,
rinunciando al sassofonista.
Sempre nel 1966, Tony Head abbandona la band per unirsi
ai Fleur De Lys. Viene sostituito da Roger Peacock, in
precedenza cantante dei Mark Leeman Five e dei Cheynes,
assieme a Peter Bardens e Mick Fleetwood.
Nel gennaio del 1967 i Dave Anthony’s Moods si
trasferiscono a Milano, reclutati dal mitico manager
Leo Wächter (quello che portò in Italia, fra i tanti,
Beatles, Rolling Stones, Jimi Hendrix, Who ed
Emerson, Lake & Palmer). Per l’ etichetta Joker incidono
due singoli: “My Baby”/”Fading Away” e la cover di
“A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum
(retro: “Talkin’ to the Rain”).
Bob è il primo a sinistra
Refuso di copertina: Anthony senza l’ “h”
Anni fa l’ etichetta Acid Jazz ha pubblicato un EP
contenente alcuni brani dei due singoli
Nel 1968 Roger Peacock abbandona il gruppo per passare
prima ai Trip e in seguito ai Primitives, in sostituzione di Mal.
Stessa cosa fa Bob Michaels, che viene rimpiazzato da Chris
Dennis, futuro membro dei Nomadi, per costituire i Pleasure
Machine con Tony Head (ex-Dave Anthony’s Moods) alla voce,
Roger Dean (ex-John Mayall’s Bluesbreakers) alla chitarra
e Gianfranco “Pupo” Longo (ex New Dada) alla batteria.
Negli anni Settanta il musicista scrive i testi per il primo lp
della band prog Circus 2000, poi si trasferisce a Lugano,
dove, come detto, si dedica allo studio e all’ esecuzione di
musica sacra per organo. Nel 1984 fonda la Scuola corale
della cattedrale con l’ arciprete, monsignor Arnoldo
Giovannini, assumendone da subito la direzione.
IL LIBRO
Dettagli concernenti la storia dei Dave Anthony’s Moods
li trovate nel libro ”In cerca degli umori di Dave (dalla
Swinging London al Piper Club)”, scritto da Luca Selvini
e Aldo Pedron (Edizioni Indipendenti).
Biografia illustrata completa di discografia ed interviste
reperibile su amazon.it.
MARIO TOTARO:
“BOB VOLAVA CON
LE MANI SULLE
TASTIERE”
Il primo a parlarmi di Bob Michaels, tanto tempo fa, è stato
l’ amico Mario Totaro, ex tastierista dei Dik Dik: gli ho chiesto
di raccontare come e dove avvenne l’ incontro con l’ (allora)
invidiato collega inglese.
Sto ripensando
– scrive Mario – a come, nel lontano 1967, acquistai il mio
organo Hammond, che permise ai Dik Dik di incidere il disco
di grande successo “Senza luce”, versione italiana di
“A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum.
Dopo il “Piper Club” di Roma, era stato aperto a ridosso
dei locali della Triennale di Milano un nuovo “Piper”.
Studiavo e contemporaneamente facevo parte dei Dik Dik
in qualità di tastierista. Come tutti i giovani, non persi
l’ occasione di frequentare il locale, dove si poteva trovare
compagnia e, spesso, ascoltare ottimi artisti internazionali.
Da “bazzicatore” ormai abituale, una sera, all’ inizio
dell’ anno, ebbi modo di apprezzare un complesso
inglese, i Dave Anthony’s Moods, molto bravi, con
un tipo di sonorità che mi impressionò tantissimo.
Da dove venivano? Gran parte da un organo
Hammond ed il suo Leslie, un effetto spaziale (doppler),
allora ancora dalle nostre parti poco conosciuto. Lo
strumento (molto ingombrante) mostrava la sua età
e si vedeva che aveva sofferto per i continui trasporti.
L’ organista, un giovane molto serio, praticamente mio
coetaneo, volava con le mani sulle due tastiere, sfiorando
spesso un interruttore bianco simile al pulsante di un
campanello domestico. Soprattutto utilizzava la
pedaliera diffondendo un suono profondo che “legava”
quelli degli altri strumenti del complesso.
Possedevo un organo elettronico portatile Farfisa che
non produceva certo suoni cosi affascinanti: le possibilità
offerte da tali tastiere mi parvero pertanto subito evidenti.
Nelle pause potei conoscere Bob Michaels, al quale,
trascorse alcune sere, timidamente confidai che facevo
parte di un complesso italiano ed ero interessato ad
avere un organo simile al suo.
Cominciammo così a frequentarci al di fuori del “Piper”.
Quando seppe con cosa suonavo, mi disse che solo con un
organo come il suo avrei fatto un salto di qualità e che
sarebbe stato disposto ad aiutarmi nello scegliere il
modello da acquistare.
Ai tempi la vendita di quel tipo di tastiere di produzione
americana era ristretta a pochi negozianti. L’ organo
Hammond era considerato un addestratore per
musica classica piuttosto che uno strumento per musica
pop. A Milano ne aveva alcuni in esposizione la ditta
Castellini di via Larga: ci andammo insieme. Il
modello di Hammond B3 (come quello di Bob) non era
disponibile, ma c’ era un A100 che, a differenza dell’ altro,
era più compatto, con un mobile da tipico salotto
americano. Bob mi disse che in sostanza era in tutto
simile al suo, fatta eccezione per l’ amplificazione interna,
e che avrei comunque potuto, in un secondo tempo,
collegare anche amplificatori esterni come quelli da
lui usati.
Era nuovo e molto costoso. Per poterlo avere al più presto,
mi feci aiutare da mio padre, il quale mi diede parte della
somma necessaria per l’ acquisto. Bob mi istruì all’ uso,
soprattutto per quanto concerne la pedaliera. Mi diede
anche un manuale (che ho ancora) per imparare ad utilizzarla.
All’ inizio ebbi difficoltà, non disponendo di un’ amplificazione
adeguata. Per gli spettacoli fui costretto di conseguenza
a ricorrere a vari accorgimenti temporanei. Mi fu possibile
procurarmi un Leslie solo molto più tardi, perché, anche
se ormai avevo la possibilità di acquistarlo, questi impianti
venivano importati con il contagocce ed andavano a ruba.
Aneddoto concernente “Senza luce”: fu possibile creare
un suono simile a quello dei Procol Harum (fatto, come
detto, che molto contribuì al successo del disco) grazie
ai provvidenziali accorgimenti tecnici del geniale
ingegnere della Ricordi Walter Patergnani.
L’ installazione e le modifiche da me in seguito effettuate
sul mio Hammond (che gli consentono di produrre un
suono particolare) sono tutta un’ altra storia, che magari
racconterò più avanti nel tempo.
Per il momento, ancora grazie infinite, Bob!
GLI OTTONI DI DAVE
Questa storia ha suscitato particolare interesse.
Fra i tanti che mi hanno scritto per dire che l’ hanno
apprezzata c’ è l’ amico Boris Gurtler, direttore e
proprietario della casa discografica milanese
SAAR Records (quella che ha pubblicato i primi
dischi di Adriano Celentano) e Toni Vescoli,
frontman delle Sauterelles, i “Beatles svizzeri”.
Messaggio di Boris:
“Ciao Giorgio, piacere di risentirti. Ho riscoperto
una band grazie a te. Ho fatto un’ indagine della
discografia. Hanno registrato 2×45 giri con la Joker.
Salutami Bob, anche se non lo conosco, prometto
di ripubblicare i 45 giri sul digitale, così la loro
storia non andrà persa. Magari possiamo fare
un’ uscita contemporaneamente, se riesco a
reperire l’ audio in tempi brevi. A presto”.
Toni, dal canto suo:
“Sapevi che i fiati dei Dave Anthony’s Moods hanno
suonato nel singolo con cui abbiamo partecipato
al ‘Cantagiro’ del 1967? Per essere precisi, nel pezzo
del retro, ‘Il quinto non lo paghi’. Registrazioni
effettuate presso La Basilica di Milano. Puoi
trovare la storia nel mio libro “MacheWasiWill”
(‘Faccio quello che voglio’, ndr), capitolo 036.
Eccotene un estratto.
“Milano ci ha avuto di nuovo! Ci siamo sentiti
quasi a casa, qui, nella solita pensione. Tanto che
i miei colleghi si comportano come se ci vivessimo
da soli”.
I Dave Anthony’s Moods. Il primo a sinistra è Bob Michaels,
che da anni vive a Lugano, dove dirige la Scuola corale
della Cattedrale
Dopo essersi soffermato sulle birichinate combinate
tra uno spettacolo e l’ altro (che costrinsero la band a
trovarsi un altro alloggio), Toni ricorda i pomeriggi
e le serate al Piper e l’ incontro con gli Anthony’s
Moods.
“C’ era una pericolosa concorrenza al Piper Club.
La seconda band a esibirsi erano i Moods di Dave
Anthony, un gruppo fantastico. Oltre a Dave, il
cantante, un batterista, il basso, la chitarra e
tastiere, nella formazione c’ erano tre suonatori
di ottoni. Quello che succedeva nel locale è difficile
da descrivere. Fu allora che si rivelò a noi un suono
dal vivo mai sentito prima. Tamla Motown, soul
allo stato puro, esattamente il tipo di musica che
stava spopolando in quel periodo. Avremmo dovuto
rivivere il fallimento di Colonia del 1964, quando
fummo accusati di essere antiquati e in ritardo
rispetto ai tempi?
Timori infondati. Il pubblico continuò ad amarci,
ed entrambe le band ad avere i propri fan. Il
repertorio proposto fu accolto bene, specialmente
dal pubblico più giovane. Forse perché tre di noi
erano biondi e dimostravano di avere meno anni
rispetto ai componenti degli altri gruppi?
Ricordo una domenica, locale affollato all’ inverosimile,
con Enzo ad avventurarsi, nonostante i miei avvertimenti,
un po’ troppo oltre il bordo del palco: in pochi secondi
gli strapparono di dosso la bellissima camicia di raso
viola che indossava, i brandelli di stoffa si sparpagliarono
per terra. Riuscì, per fortuna, a fare un salto all’ indietro,
evitando così di essere stritolato da quella massa ribollente.
Probabilmente, senza questa reazione, sarebbero rimasti
sul pavimento solo le sue ossa e un basso demolito”.
“IL QUINTO NON LO PAGHI”
“Dopo alcuni giorni, per stare al passo con i tempi,
decidemmo di reclutare un intero set di ottoni. Si era
sviluppato un ottimo rapporto con i Moods di Dave
Anthony. La sezione degli ottoni, in particolare, ci
aveva lasciato senza fiato. Chiedemmo loro pertanto
se sarebbero stati disposti a suonare nel nostro nuovo
disco: accettarono con gioia. Arrivarono alla Basilica
nel pomeriggio per registrare le loro parti. Ci volle
però più tempo del previsto. Non conoscevano il
pezzo e dovevano quindi prima ascoltarlo. Purtroppo
non fu possibile fornire loro una registrazione demo
per farsi un’ idea: i pratici dispositivi di registrazione
che oggi rendono la vita dei musicisti molto più
semplice non esistevano ancora. Il 1967 era l’ età
della pietra da questo punto di vista.
Les Sauterelles negli studi della Basilica di Milano
A Zurigo nello studio grafico del batterista Düde Dürst
Sprecammo tempo prezioso in studio provando e riprovando,
cosicché superammo il limite a noi consentito. Quando
annunciammo che la sezione degli ottoni era pronta
per la registrazione, il tecnico del suono rispose: «Temo
che sia troppo tardi! Ci rimangono dieci minuti, non
possiamo andare oltre questo orario di lavoro. Dobbiamo
continuare un’ altra volta».
«Come?» – fu la nostra risposta – «non possiamo lasciarci
proprio adesso! Ci serve solo un’ altra mezz’ ora, tre quarti
d’ ora al massimo, e poi avremo ultimato tutte le registrazioni».
«Non possiamo farlo», ribattè il nostro uomo. «Perché?»,
chiedemmo. Risposta: «Ce lo vieta il sindacato».
Nelle settimane seguenti non sarebbe più stato possibile
utilizzare lo studio della Basilica, in quanto affittato da
altri artisti. Come non bastasse, gli impegni delle Sauterelles
al Piper stavano per finire e gli ottoni con i Dave Anthony’s
Moods per rimettersi in viaggio alla volta di altre parti
d’ Europa.
Toni:
“Alla fine funzionò. Mi misi in contatto con un dirigente
del sindacato, il quale, dopo un paio d’ ore d’ insistenze,
ci autorizzò a rimanere in studio oltre l’ orario stabilito.
I corni però cominciarono a scalpitare, perché avrebbero
dovuto iniziare il primo spettacolo al Piper un’ ora dopo.
Fui pertanto costretto a telefonicamente tirare la giacca
pure a Leo Wächter (proprietario del locale, ndr).
Ci volle molto lavoro di persuasione per convincerlo
ad autorizzare la band a iniziare lo show senza ottoni.
Probabilmente non ci sarei riuscito con il mio italiano.
Quando sentii Leo urlare, saggiamente passai la cornetta
del telefono al tecnico dello studio, cui lasciai il compito
di sbrogliare la matassa.
Dopo aver velocemente inciso la loro parte, i musicisti
inglesi presero un taxi e raggiunsero i Moods, che erano
giunti a metà del primo set. Quanto a noi, dovemmo di
corsa impacchettare l’ attrezzatura, caricarla sul nostro
VW Bus e risistemarla sul palco del club. Cominciammo
a suonare con parecchi minuti di ritardo, sotto gli sguardi
malvagi e feroci di Leo Wächter. Ma sopravvivemmo
anche a questo”.