FRA I PIONIERI
DEL BEAT ITALIANO
I Profeti con, appoggiato al palo, Gene Pitney
Osvaldo Bernasconi, una volta batterista dei Profeti,
l’ ho conosciuto a Milano, alla Ciao Records di Corso
Buenos Aires, dove andò a lavorare dopo essersi
congedato dalla Polygram. Siamo subito divenuti
amici e, seppure in modo non regolare, continuiamo
a sentirci.
Nel Blog non può pertanto mancare un articolo a lui
dedicato, come pure uno con la storia, in sintesi,
del gruppo di cui ha fatto parte e che per anni ha
goduto di notevole popolarità, i Profeti, appunto.
LA TELEFONATA
Come te la stai passando?
“Bene, nonostante tutto. Mi esibisco con i miei Quantico
Five, band che propone un programma di Popular Music
(Folk, Blues, Rock) di matrice nord americana, con
spettacoli che integrano musiche, recitazioni e
videoproiezioni”.
Parlando dei Profeti, chi ha dato il “la” alla loro storia?
“Renato Brioschi (il cantante), io, il compianto Nazareno
Larovere e Donato Ciletti. In seguito ci furono diversi
avvicendamenti, un paio dei quali concernenti Donato
e me: mollammo per svolgere il servizio militare, ma
poi rientrammo e riprendemmo l’ attività a
pieno regime. Ricordo che, pochi giorni dopo
il ritorno a casa, tenemmo un concerto al Vigorelli
con altri popolari complessi dell’ epoca. Durante
la nostra assenza i Profeti incisero il primo album,
con, al posto nostro, Roberto Margaria
e Raffaele Favero”.
Prima però c’ erano già stati gruppi …
“Con Renato, me e altri due musicisti, band con cui, nel
1964, ci esibimmo al Liceo Carducci di Milano. Fecero
seguito i Sonars e, poi, come detto, i Profeti”.
A un certo punto se ne andò Renato.
“Per svolgere attività solistica. Che gli ha dato molte
soddisfazioni. Fra le tante, l’ hit ‘Lady Barbara’,
tormentone estivo con cui vinse un’ edizione del
‘Disco per l’ estate’ e che ispirò l’ omonimo film
musicarello”.
A proposito di defezioni, a un certo punto te ne andasti
pure tu…
“Nel 1973, per divergenze di carattere musicale. Noi
eravamo rockettari, i suoni dei primi dischi lo
confermano. Non mi piaceva la linea soft, il genere
melenso che un funzionario della CGD aveva imposto
approfittando della nostra assenza. Quella dei per altro
gettonati ‘Ho difeso il mio amore’ e ‘Aveva gli occhi verdi
dell’ amore’, per intenderci. Tornai nel 1974 e, nel
1976, andammo a Sanremo. Nel frattempo molte
cose erano cambiate, per cui ancora qualche
disco e, poi, i Profeti gettarono definitivamente
la spugna”.
In seguito cosa hai fatto?
“Con Renato alcuni concerti rock, Deep Purple e altri
pezzi del genere. Poi manager di gruppi, impiegato
alla Polygram e produttore alla Ciao Records. Da anni
sono attivo nell’ immobiliare, mi occupo della gestione
di piccole proprietà, seguo lavori, eccetera”.
Fra di voi siete rimasti amici?
“Certo, come una volta. Quelli che vedo con regolarità
sono Renato e Roberto Margaria. Maurizio Bellini vive
nel mantovano, per cui ci si sente meno. A Renato,
addirittura, amministro delle proprietà. Insieme
abbiamo pure una chat”.
Il CD con cover dei brani dei Bee Gees.
“Un’ idea di un ex collaboratore della CGD. Ci siamo
riuniti per realizzarlo, in buonissima parte, a casa di
Renato. Molto computer, e le nostre chitarre e voci.
Riascoltandolo, direi che è più che dignitoso.
In progetto c’ era pure un album dedicato ai Byrds,
perché Renato e Nazareno avevano le voci adatte,
molto somiglianti a quelle di Gene Clark e David
Crosby. Nel primo album, non a caso, c’ è ‘ The
Bells Of Rhymney’, con l’ arrangiamento simile a
quello realizzato dai Byrds. Non se ne fece niente
per una questione di diritti, edizioni”.
A proposito, sei anche un po’ ticinese…
“Si, ho trascorso l’ infanzia sul confine con la Svizzera,
nella zona del Gaggiolo. Il bisnonno, poi, aveva una
panetteria a Stabio, mentre un cugino viveva
a Chiasso”.
OSVALDO
DIRETTORE ARTISTICO
Come detto, ho fatto amicizia con Osvaldo alla Ciao
Records di Milano.
Ai tempi ero produttore di Gianni Dall’ Aglio, con cui
ho realizzato il singolo “Taking A Chance With Love”.
Qui siamo in uno studio televisivo, in Viale Col Di Lana,
in cui venivano prodotti programmi per Tele Montecarlo
di proprietà del ticinese Enzo Regusci, uno dei pionieri
della Televisione della Svizzera Italiana.
Studio all’ epoca frequentato dal mitico Gianfranco Funari
e Wilma De Angelis, fra le prime in Italia a proporre
trasmissioni sulla cucina.
Una pausa fra una ripresa e l’ altra di un programma,
“Sound Check”, dedicato a Bernardo Lanzetti della
Premiata Forneria Marconi, artista di Osvaldo.
Qui, invece, con Leali, sempre quando era produttore
artistico della “Ciao Records”. Fausto all’ epoca faceva
parte degli artisti di questa etichetta.
LA STORIA DEI
PROFETI
IN SINTESI
Il primo vinile inciso dai Profeti è “Bambina sola”, sul retro,
“Le ombre della sera”, scritto da Roby Matano e Lucio Battisti.
Segue il 45 giri “Rubacuori,” cover di “Ruby Tuesday” dei
Rolling Stones; sul retro “Sole nero”, “Call My Name”
dei Them.
Poco dopo, l’ album, contenente, fra i pezzi, “Asciuga le tue
lacrime” (ancora Battisti) e “Per fare un uomo” di Francesco
Guccini.
Anche nel look i Profeti si danno da fare per essere originali:
sulla copertina dell’ lp si fanno fotografare con tuniche
orientali. Per quanto concerne le sonorità, ricorrono
a strumenti esotici come il sitar.
Nel 1968 la band partecipa al “Festivalbar” con “Ho difeso
il mio amore”, cover di “Nights In White Satin” dei Moody
Blues, che vende bene.
Vende bene pure “Gli occhi verdi dell’ amore”, ossia
“Angel of The Morning”, pubblicata non molto tempo
dopo e coverizzata in seguito, fra i tanti, da Juice Newton,
Shaggy & Rayvon.
Seguono “La tua voce” e “La mia vita con te”, poi la CBS
decide di puntare sul leader, Renato Brioschi, che partecipa
da solista al “Disco per l’ estate” con “Lady Barbara”: vince
e, di conseguenza, decide di mettersi in proprio.
In primo piano, con la barbetta, Maurizio Bellini, in seguito
con i Ribelli
Alla band nel frattempo si aggrega Maurizio Bellini, all’ organo
Hammond, in sostituzione di Roberto Margaria.
I Profeti tornano a vendere grazie a “Non si muore per
amore” e, nel 1971, con “Era bella”, cover di “Nothing
Rhymed” di Gilbert O’ Sullivan. Nello stesso anno
pubblicano “Prima notte senza lei”, con cui partecipano
al “Cantagiro 1972”.
Nel 1973 il gruppo presenta a “Un disco per l’estate“
“Io perché, io per chi”.
La band ci riprova a Saint-Vincent nel 1975 con “Dimmi
papà”, mentre l’ anno successivo partecipa al Festival
di Sanremo con “Cercati un’ anima”. Vinili, questi, poco
pubblicizzati e, quindi, dimenticati.
I Profeti a San Remo nel 1976 con altri artisti della CGD,
tra cui Sandro Giacobbe, i Gens e i Camaleonti
Nel 1977 i Profeti si sciolgono.
Nel 1989 si rimettono insieme per una breve apparizione
nella trasmissione televisiva “Una rotonda sul mare” di
Red Ronnie e, nel 1999, incidono un album di covers dei
Bee Gees con testi in italiano.
Nel 2001 vengono reclutati per “Comeback”, festival da me
organizzato a Giubiasco.
MEMORABILIA
Cartolina promozionale
Cartolina promozionale
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Dispensa DeAGOSTINI con CD
SAREBBE LORO
PIACIUTO, MA ….
Adesso anche un libro con la storia dei Profeti:
“Ci sarebbe piaciuto ma… Non eravamo i Beatles”.
L’ ha scritto, con dovizia di particolari, l’ ex bassista
Roberto Margaria.
Osvaldo Bernasconi è un “quasi ticinese”, avendo trascorso
l’ infanzia sul confine con la Svizzera, nella zona del Gaggiolo.
Il bisnonno a quei tempi aveva una panetteria a Stabio,
mentre un cugino viveva a Chiasso
Alla stesura hanno collaborato Renato Brioschi, Donato Ciletti
e Osvaldo Bernasconi.
Dal retrocopertina:
“Il libro ricostruisce, attraverso aneddoti e personaggi che
ne hanno caratterizzato la genesi e l’ apice, la storia di una
band (I Profeti) composta da quattro ragazzini adolescenti
che si trovano, alla fine degli anni 60, ad affrontare un
successo inaspettato e conoscere un mondo quasi ignoto
a loro, incontrando i personaggi piu famosi dell’ epoca.
Appare un lungo flash back pregno di giusto orgoglio
per i risultati raggiunti e quel pizzico di goliardia che
rende sempre piu allegri i ricordi raccontati attraverso
aneddoti ed episodi. Sembra di conoscere i protagonisti,
vederli nelle loro rocambolesche disavventure, seguirli
e tifare per loro. Emergono l’ autoironia e la capacità
di non prendersi troppo sul serio, nemmeno quando
i fatti lo vorrebbero o lo imporrebbero. Il testo è una
summa di episodi che forma una storia completa,
raccontata in modo totalmente coeso, capace di
mantenere la stessa voce e lo stesso timbro lungo
tutta la narrazione. Benché gli eventi trattati siano
i più disparati, il libro riesce in modo efficace, a
mettere in evidenza la diversità del modo di
comunicare e comportarsi tra i ragazzi di quei
tempi e quelli di oggi”.
“TROPPO PIGRO PER
SCRIVERLO IO”
Di tanto in tanto al telefono sento pure Renato,
al quale, a proposito del libro, ho chiesto:
Mai pensato di scrivere tu la storia della band?
“Più volte, ma poi, per pigrizia, non l’ ho mai fatto.
Preferisco scrivere musica, quando ne ho voglia.
Ci vorrebbe uno che mi segua, uno scribacchino che,
quando gli dico che ho un ricordo o un’ idea, prenda
appunti e, come facevano quelli di una volta, quelli
che seguivano i cow boys del Far West, poi butti
giù la storia. Ripeto, io questa voglia non ce l’ ho”.
Hai collaborato in qualche modo alla stesura di
“Ci sarebbe piaciuto ma… Non eravamo i Beatles”?
“Io ho contribuito con dei ricordi. Ce li siamo
scambiati, a volte io non ricordavo niente, mentre
Roberto tutto, a volte è successo il contrario”.
Letto qualcosa in anteprima?
“Si, centosettanta pagine. A parte un paio che a me
non piacciono e ritengo pesanti, dedicate a un
personaggio che voleva fare il nostro impresario,
un po’ ambiguo, malvivente, almeno secondo me,
per il resto il libro fila bene. Anzi, in certi punti mi
ha persino commosso, perché talune cose non me
le ricordavo proprio. Mi è piaciuto molto. Roberto,
devo dire, ha scritto veramente bene.
È un libro allegro, nonostante racconti anche
cose drammatiche (ride, ndr)”.
Molti tuoi colleghi hanno avuto la stessa idea,
scrivere libri. Ne hai sfogliato qualcuno?
“No, nemmeno uno”.
Ad “Amici miei” (TSI)
Componi ancora?
“Ho ripreso a buttar giù canzoni, con grandissima fatica,
perchè, dopo sei/sette anni trascorsi senza usare il computer,
non mi ricordavo più i programmi. Poi mi sono innamorato
dello strumento banjo, che non avevo mai visto nella mia vita.
Ho cominciato a suonarlo da zero, un casino pazzesco! Non
riesco ancora a suonarlo bene, ho fatto un pezzo per allenarmi,
te lo manderò per darti l’ idea. Chiaramente bisognerà
perfezionarlo. Siccome mi sono fatto prendere dalla musica
Bluegrass, butto giù qualche brano con sonorità di questo
tipo, più che altro per passare il tempo, perché poi diventa
un lavoro. Si, perché tutto quello che fai per hobby,
alla fine, diventa un lavoro”.