CIAO PEPE!
Un ricordo, per cominciare, di Erminio Pepe Salvaderi, recentemente scomparso, come gli altri Dik Dik (fatta eccezione per il batterista Sergio Panno, che non ho mai conosciuto), un grande amico.
Aneddoto che amavamo spolverare ogni volta che ci incontravamo – l’ ultima, in ordine di tempo, ad Ascona, per lo showcase della band – quello delle sue trasferte oltre San Gottardo per gustare i mitici “Rösti”. “Mi piacevano tantissimo – raccontava – per cui spesso macinavo chilometri e chilometri per farmene una scorpacciata; tappa obbligatoria: Buochs (Nidvaldo) . Ci sono voluti moltissimi anni prima che mi accorgessi che li cucinavano molto bene pure all’ ‘Olimpia’ di Lugano!”
Pepe amava altresì ricordare che, agli inizi della carriera, con Lallo e gli altri veniva spesso in città per acquistare, presso il negozio Gemetti di piazza della Riforma, le novità discografiche, che ai tempi arrivavano prima da noi che in Italia.
Questo l’ ultimo saluto dei compagni di band Lallo e Pietruccio in un post sulla pagina ufficiale di Facebook: «Ciao Pepe, te ne sei andato a suonare con gli angeli e ci hai lasciato qui a piangerti e ricordarti per sempre. Conoscendo la tua innata ironia lo avrai fatto così senza avvertirci affinché suonassimo le tue canzoni, le nostre canzoni ancora più forte, così forte da arrivare fino al cielo e il cielo sarà con te ad ascoltarci. Noi non ti abbiamo perso e non ti perderemo mai perché sei e sarai sempre dentro di noi e ti promettiamo una cosa, l’ ultimo lavoro, quello che hai voluto tanto non andrà perduto. Ciao fratello, amico, grande musicista, ciao Pepe, ci incontreremo in tutti i nostri sogni».
Dal canto suo, Enrico Ruggeri ricorda: “I Dik Dik furono quelli che portarono il nastrino dei Decibel (la band con cui si è affermato Ruggeri, n.d.r.) alla nostra prima casa discografica. Registrammo il primo album con Pepe Salvaderi sempre presente in studio, assieme a Giancarlo (Sbriziolo, il cantante dei Dik Dik, n.d.r.) e al povero Joe Vescovi (fra i tastieristi che sostituirono Mario Totaro quando questi decise di divenire pilota, n.d.r.). Quanti ricordi. Un abbraccio Pepe, ovunque tu sia adesso”.
LA (GRADITISSIMA)
TELEFONATA DI
PIETRUCCIO
Il mitico Pietruccio Montalbetti mi ha telefonato per segnalare che sta per pubblicare un nuovo, intrigante libro, “Il mistero della bicicletta abbandonata”, vero e proprio noir che, ambientato nel dopoguerra, sfiora tematiche inquietanti e dolorose riguardanti le violenze perpetrate dai nazi-fascisti, ma anche l’ aspetto umano e valoroso dei partigiani italiani.
Gli ho chiesto, per cominciare, quali fatti l’ abbiano ispirato.
“Sono nato nel 1941, quindi certi eventi li ho vissuti di persona. A quattro anni, quando i tedeschi da alleati divennero nemici, fui sfollato. Con il trascorrere del tempo mi sono sempre più appassionato, interessato a queste tragiche pagine di storia: il processo di Norimberga, gli eccidi, le amnistie concesse ai fascisti nonostante avessero commesso cose terribili…
Un giorno, poi, sono stato al famoso binario 21 della Stazione Centrale di Milano, da dove partivano gli ebrei per i campi di concentramento. Lì mi son detto che è importante non lasciar cadere nel dimenticatoio quanto è avvenuto, che bisogna sensibilizzare specialmente i giovani, perchè certe situazioni, seppure in modo diverso, potrebbero ripetersi.
Il mio è un romanzo, ho lavorato di fantasia, però ho ricostruito minuziosamente, con la massima serietà, il clima e i fatti di allora, lo sbarco, eccetera.”
A Pietruccio ho poi domandato se nel cassetto abbia altri spunti.
“Si, vorrei scrivere un secondo libro in cui parlo di Lucio Battisti, con il quale ho condiviso moltissime cose. Il titolo potrebbe essere ‘Storia di due amici’.
Occasione per ricordare un viaggio che facemmo con la mia ‘500’ poco dopo aver firmato il contratto con la Ricordi. In quell’ occasione capii perchè Battisti sia rimasto fino all’ ultimo uno schivo: era stato bullizzato a scuola causa il suo sovrappeso, aveva sofferto”.
GLI ALTRI LIBRI
DI PIETRUCCIO
“I ragazzi della via Stendhal” (2017), “Settanta a settemila”; “Una sfida senza limiti di età” (2017), “Io e Lucio Battisti” (2013), “Sognando la California, scalando il Kilimangiaro” (2011) e “Amazzonia. Io mi fermo qui. Viaggio in solitaria tra i popoli invisibili” (2018).
IL NUOVO ALBUM
La scomparsa di Pepe cosa comporta per i Dik Dik?
“Lascia un grande vuoto, ma andremo avanti. Abbiamo un nuovo produttore, Luca Nesti, che ha lavorato con Raf, Tozzi e tanti altri, ed è pure un ottimo chitarrista. Dice che è ora che la band venga rivalutata. Un paio di mesi, prima che il covid cominciasse a fare disastri, siamo stati con lui una decina di giorni in una splendida cascina di Aliano, in Toscana, per incidere un nuovo album, senza campionamenti, unicamente suoni puri, primitivi.
Tra i pezzi ce n’ è uno che ho composto recentemente, ‘Hey Man’, che parla delle conseguenze, per quanto concerne lo stato d’ animo della gente, causate dall’ epidemia. L’ album, intitolato ‘Una vita d’ avventura’, verrà pubblicato non appena la situazione migliorerà sensibilmente. Torneremo a tenere concerti, da voi, in Canada, dove ci rivogliono con insistenza (l’ altra volta c’ erano più di cinquantamila persone ad ascoltarci, certo, italo-canadesi, ma comunque tanti!) e in moltissime altre località.”
ALTRO RECENTE PEZZO DEI DIK DIK
Ironia della sorte, pezzo per il cui lancio è stato realizzato un video ispirato dal covid, virus con cui ha lottato Pepe.
“Rifondare il nostro repertorio è un modo per rimanere vitali e carichi. Sentirsi arrivati, consolidati, spesso conduce alla fine della creatività e quindi alla morte per un’ artista. Potersi stupire davanti ad un suono nuovo è tutto”. Parole pronunciate da Pietruccio Montalbetti in occasione della pubblicazione del videoclip “Ci sarà”, singolo che anticipa il nuovo album “Una vita d’ avventura” e realizzato grazie al contributo fotografico di circa duemilacinquecento fans.
In tempo di pandemia, è bastato un semplice annuncio sui social richiedendo due foto (una prima del Covid, dalla finestra, l’ altra ebbra di serenità immortalante un momento pre-epidemia). La premessa, oltre 100.000 visualizzazioni in sole 24 ore, è già – come sempre per il gruppo – l’ inequivocabile indicatore dell’ amore che lo lega in maniera forte al pubblico.
Prodotto da Gaetano Rubini e Luca Nesti, “Una vita d’avventura” raccoglie undici brani, dei quali sei inediti e cinque scelti tra i maggiori successi.
“CLIC” QUI PER VEDERE IL VIDEO DI “CI SARÀ”
FRA I TANTI RICORDI …
il concertone che la band tenne in piazza del Sole nel 1989 nell’ ambito di “Feedback. Il ritorno della buona musica” (vedi articolo “Il festival che ha fatto scuola”), da me ideato ed organizzato.
Per l’ occasione invitai in piazza l’ ex organista della band, Mario Totaro, che tempo prima avevo tentato di contattare inviandogli una lettera rimasta senza risposta e che poi, casualmente, ebbi modo di incontrare durante un volo di ritorno da Roma, a bordo di un aereo da lui stesso pilotato.
I Dik Dik dopo il concerto. Primo a sinistra, di spalle, Mario Totaro
LA STORIA DELLA
BAND
IN SINTESI
Molto in sintesi, perchè Lallo e soci hanno fatto tantissime cose e inciso altrettanti brani, di cui nell’ articolo citiamo solo una parte di titoli, quelli più ricordati.
I Dik Dik nascono a Milano nel 1965. Prima Dreamers, poi Squali.
Gli Squali
Dopo un provino procurato dall’ allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, ottengono un contratto discografico con la Dischi Ricordi e cambiano il nome in Dik Dik.
Debuttano con “1-2-3/Se rimani con me” (il secondo pezzo composto da Battisti).
Segue “Sognando la California”, ossia “California Dreamin’ “ dei Mama & Papas (testo di Mogol). Il brano riscuote un successo clamoroso, tanto che i componenti del gruppo decidono di dedicarsi a tempo pieno alla musica. Sul retro del 45 giri c’ è “Dolce di giorno”, scritta da Mogol e Lucio Battisti, che iniziano così a collaborare con la band.
I Dik Dik con Lucio Battisti
Nello stesso anno i Dik Dik, con Ornella Vanoni, incidono “Io ti darò di più”.
Da quel momento si susseguono i vinili di successo: “Il mondo è con noi”, “Inno” (cover, sempre ad opera di Mogol, di “Let’s go to San Francisco” dei Flower Pot Men), “Senza luce” (“A Whiter Shade of Pale” dei “Procol Harum”), “Il vento” (retro “L’ eschimese”, versione italiana di “The Mighty Quinn” di Bob Dylan), “Il primo giorno di primavera”, con Lucio Battisti alla chitarra acustica e Pino Presti al basso elettrico.
Nel 1969 sono al Festival di Sanremo con “Zucchero” in coppia con Rita Pavone.
Ci tornano l’anno dopo con “Io mi fermo qui”.
Altro successo del 1970 è “L’ Isola di Wight”, cui fanno seguito “Vendo casa” (di Mogol e Battisti, che partecipa alla registrazione), “Viaggio di un poeta”, “Storia di periferia” e “Help me”.
Dopo tre raccolte con i singoli di successo più qualche inedito, i Dik Dik danno alle stampe il primo album originale, “Suite per una donna assolutamente relativa”.
Nel 1974 Ricordi pubblica “Help me” e Panno e Totaro lasciano il gruppo.
Sono sostituiti da Roberto Carlotto, detto “Hunka Munka”, e Nunzio “Cucciolo” Favia. Fra i vinili del periodo: “Volando” (“Sailing “di Rod Stewart) e “I te vurria vasà”.
Nel 1978 esce dal gruppo la voce storica Giancarlo “Lallo” Sbriziolo, sostituito dal chitarrista Roberto “Roby” Facini. I Dik Dik incidono, fra i tanti, “Io, te, l’ infinito”, “Amico” e “Strani fili”.
Nel 1980 alle tastiere si mette Joe Vescovi. La band incide, per ricordare alcuni titoli,
“ Vuoto a rendere“, “Laser vivente” e “Giornale di bordo”.
Nel 1982 il gruppo diventa un terzetto, con tre degli elementi originali, Pietruccio, Pepe e Lallo.
Nel 1985 partecipa a “Musicaitalia per l’ Etiopia”, incidendo con altri artisti “Nel blu dipinto di blu (Volare)”.
Da qui in poi Lallo e soci sono affiancati da diversi altri musicisti di spalla.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’ inizio dei Novanta i Dik Dik tornano a vendere. E, nel 1993, nuovamente a Sanremo con i Camaleonti e Maurizio Vandelli, con il brano “Come passa il tempo”.
Da allora hanno continuato ad apparire in trasmissioni televisive, tenere concerti e incidere album, tra cui “Isole in viaggio”, “Sogno Beat”e “Il sogno continua”.
ALTRA PUBBLICITÀ
Quella di uno dei meno ricordati vinili della band, che però prediligo,
“Il mondo è con noi” (dal repertorio dei Mamas & Papas)
Questa, invece, la locandina della più gettonata “L’ Isola di Wight”
MARIO TOTARO: DALLE TASTIERE
ALLE ALI
Mario Totaro? Si, è l’ ex tastierista dei Dik Dik, vive nel Locarnese e fa il pilota e l’ istruttore di volo.
Per conoscerlo, come detto, tantissimi anni fa gli scrissi. Non rispose, ma quando, finalmente, ci incontrammo – successe per caso a bordo di un aereo rientrando dall’ Italia – divenimmo subito amici.
Da allora abbiamo fatto un mucchio di belle cose insieme, dalle trasferte a Milano per l’ acquisto di cd e riviste alle visite a mostre e luoghi “storici” della musica, dai programmi radiofonici (diverse puntate di “Galassia Sessanta” sono state prodotte nel suo studio) ai concerti (l’ ho reclutato per la reunion dei Nightbirds e lo showcase di Ascona con Lallo, Pepe e Pietruccio), dalle splendide mangiate all’ “Isola di Wight” di Buccinasco, ristorante di proprietà dei suoi ex colleghi, alle chiacchierate con Mogol e altri personaggi della canzone.
Quando, poi, ha smesso di fare il pilota di linea, gli ho dedicato un documentario.
Questo
Da "Svizzera e dintorni - Rivediamoli" RSI
Il tempo passa in fretta, ma ci sono canzoni che è impossibile dimenticare, che hanno fatto la storia, ascoltando le quali qualcuno si è persino innamorato. Ad esempio, le canzoni degli inossidabili Dik Dik, quelli di “Sognando la California”, “Senza luce”, “L’ Isola di Wight” e tanti altri successi.
Il personaggio che incontriamo, l’ organista Mario Totaro, per anni è stato una colonna portante del gruppo. Storia, la sua, di un musicista che, nel momento di maggiore successo e dopo aver venduto milioni di dischi, decide di abbandonare il complesso per iniziare una nuova e del tutto diversa carriera, quella di pilota. Scelta che obbliga Totaro a lasciare l’ Italia per divenire cittadino svizzero.
Con lui Giorgio Fieschi sfoglia l’ album dei ricordi e parla dei progetti ancora nel cassetto.
“Suite per una donna assolutamente relativa”?
Composta dopo aver sognato i Beatles
Molti si sono chiesti, e ancora si chiedono, perchè i Dik Dik, di cui ho fatto parte fino al 1975 e la cui proposta musicale è sempre stata ben altra, abbiano sfornato un disco del genere. Colpa/merito di un sogno fatto una notte nella mia abitazione di Milano: i Beatles stavano suonando un pezzo di mia composizione che, nonostante ogni sforzo, non riuscivo a farmi riconoscere come tale.
Si sa come sono i sogni, facilmente diventano incubi per l’impossibilità di intervenire sul nostro subconscio.
Mi irritai talmente per il fatto che John Lennon e soci stessero usurpando una mia creazione che verso le tre di mattina mi svegliai di soprassalto con nella testa il ricordo vivissimo di quel tema musicale. Abitavo in un attico di un palazzo di nuova costruzione scelto per la posizione, la buona qualità dell’isolamento acustico (dato che suonavo il pianoforte), perchè ascoltavo musica tramite un potente impianto hi-fi e spesso c’ erano da me musicisti e strumenti. A renderlo perfetto il fatto che l’appartamento di fianco al mio era di proprietà di una coppia di Como che raramente veniva a Milano e pure che l’ intero piano sotto di me per molto tempo rimase invenduto. Grazie a queste fortunate circostanze, potei installare un mini studio di registrazione dotato di apparati professionali e fare musica a qualunque ora (davanti alla mia terrazza c’ era un parco e non disturbavo praticamente nessuno).
Mario nello studio realizzato con le proprie mani
Tornando al sogno, dopo il brusco risveglio accesi subito l’ impianto di registrazione e con entusiasmo mi misi al piano. Suonai di getto, quella musica mi sembrò di averla già sentita, per come accordi e melodia venivano fuori in modo naturale e fluente. Spento tutto, tornai a dormire e non ci pensai più. Era l’ inizio del 1972.
Tempo dopo, riavvolgendo la bobina di uno dei miei “Revox” (quello che usavo poco), vidi che avevo inciso qualcosa. Ascoltando il nastro, ritrovai ciò che avevo registrato quella notte ed ormai dimenticato. Il contenuto era musicalmente molto interessante, per cui mi diedi da fare per verificare se fosse qualcosa già sentito e involontariamente memorizzato; essendo musica inedita, cominciai ad elaborare, sviluppare e scrivere sul pentagramma ottimizzando il tutto.
Ovviamente feci sentire questi abbozzi ai Dik Dik ed ad altri musicisti del mio giro.
Lallo, Pepe, Pietruccio e Sergio non si entusiasmarono per via del genere, altri invece, come Maurizio Vandelli, che nel frattempo era diventato nostro produttore discografico (Mogol, avendo fondato con Lucio Battisti la casa discografica Numero Uno, ci aveva dovuto lasciare), dimostrarono molto interesse.
Nel frattempo avevo instaurato un rapporto professionale con Herbert Pagani ed Annalena Limentani, sua produttrice. Questo grazie specialmente alla parallela attività che all’ epoca svolgevo nel campo degli impianti acustici. Attività iniziata collaborando nella realizzazione di un impianto speciale prodotto per loro dalla ditta Semprini, della quale ero anche progettista.
Ovviamente il rapporto con Pagani non rimase limitato alla tecnica audio, ma si estese automaticamente all’ ambito musicale e poi a quello creativo.
Su spinta di Vandelli, che da tempo frequentavo privatamente – insieme avevamo acquistato in Inghilterra e piazzato a casa sua dei Mellotron -, continuai a sviluppare i temi legati alla musica del famoso sogno con l’ idea di farne qualcosa di originale.
Durante una sessione in studio con Herbert (registrava trasmissioni per Radio Montecarlo) li accennai al pianoforte. Essendo eccellente e poetico autore, gli piacquero molto, tanto che si offrì di scrivere i testi, aggiungendo che avrebbero ben figurato, più che in un un normale lp, in un concept album. Essendo i temi musicali correlati tra loro, intravvide la possibilità di raccontare una storia che avesse un inizio ed una fine senza soluzione di continuità. Il fatto che in quel periodo fosse innamoratissimo di una simpatica e bella attrice italiana che viveva a Parigi, lo ispirò nella mitizzazione della protagonista, la donna, come sicuramente traspare dai testi. Alla fine il lavoro divenne una suite completa.
Ottenuta dall’ editore e dalla casa discografica l’ autorizzazione a realizzare il progetto, per l’ elaborazione e l’ adattamento del testo, fui invitato da Pagani a risiedere per diversi giorni presso la sua abitazione di Parigi, nel quartiere di Montmartre. Per seguire i suoi ritmi, ciondolavo tutto il giorno dai vari studi agli uffici della città. Si lavorava quindi di notte, fortunatamente senza reclami da parte dei vicini per il suono del piano. Il risultato fu molto buono, ma adatto unicamente a mentalità e palati raffinati. Basti ricordare che durante la registrazione, per via di alcuni testi allora considerati spinti e anticonformisti, Lallo si rifiutò di cantare alcuni brani. Dovetti pertanto farlo io, che non sono certamente un solista.
Mario, Sergio, Lallo, Pepe e Pietruccio
In quegli anni gli studi di registrazione erano molto costosi e, seppure di proprietà della stessa casa discografica, bisognava incidere il più velocemente possibile. Questo per rispettare il budget previsto. Per motivi pratici (e anche perché i miei colleghi non erano molto stimolati dal progetto) per incidere la base ritmica Vandelli decise di utilizzare come “turnisti” due componenti della Premiata Forneria Marconi sicuramente più adatti al genere e svelti, Giorgio Piazza e Franz Di Cioccio. Le loro parti erano estremamente semplici, per cui registrammo basso e batteria in due turni di un solo giorno. I giorni successivi (avevamo lo studio per una sola settimana) vennero dedicati all’incisione del resto, buona parte del quale doveva essere improvvisato sulla base di una guida armonica e del proprio stato d’animo. Gli altri strumenti suonati furono: organo Hammond, Moog, Mellotron (in cui avevo da poco inserito nuovi suoni), pianoforte, piano elettrico, diversi strumenti a percussione e chitarre acustiche ed elettriche. Il sottoscritto si mise alle tastiere, mentre le chitarre furono affidate ai Dik Dik e allo stesso Vandelli. Lallo e soci realizzarono le parti vocali, esse pure incise negli studi Ricordi di Via dei Cinquecento.
La geniale ed originale copertina del disco venne realizzata dall’ indimenticato, famoso fotografo e grafico Caesar Monti (fratello di Pietruccio). A lui, con gli altri Dik Dik, devo un grande “grazie” pure per quanto fatto per la band già all’inizio della carriera. Ma questa é un’altra storia!
“Suite per una donna assolutamente relativa” fu pubblicato verso la fine del 1972 con due tracce intere sulle due facciate, cosa che molti nell’ambiente discografico non apprezzarono particolarmente. I dispositivi tecnici delle regie audio dell’ epoca, poi, resero difficoltosa la messa in onda dei pezzi alla radio, per cui “Suite per una donna assolutamente relativa” non venne quasi mai trasmesso, fu poco promosso e, di conseguenza, vendette poco. Aggiungo che neppure negli spettacoli dal vivo pezzi di questo vinile vennero suonati, per il fatto che non facevano parte del repertorio che il pubblico si aspettava di sentire.
IL RISCATTO
Il riscatto trentuno anni dopo: nel 2003 l’ album é infatti stato rimasterizzato, divenendo così, per gli appassionati di Progressive Rock, un altro “Must Have”. Ne sono sorprendentemente state vendute moltissime copie nei paesi dell’ Estremo Oriente (ne ho alcune con le scritte in logogrammi).
Nella masterizzazione del CD le parti inizialmente unite, grazie alla più moderna tecnica digitale, sono state “divise” in singoli titoli tramite dei “segnalibri” elettronici, consentendo così all’ acquirente di poterle identificare e ascoltare separatamente.
Mario Totaro